Girando per librerie negli ultimi tempi, non si può non notare quanto in questo momento siano di moda i gialli svedesi. Anche se ultimamente seguo meno questo genere, per anni ho letto tantissimi gialli, thriller e noir, un genere che amo molto e che per molto tempo mi ha fatto compagnia nelle mie letture estive; comunque, digressioni a parte, mi domandavo per quale motivo sia così raro trovare dei gialli giapponesi in circolazione (se escludiamo i libri di Natsuo Kirino, più vicini al noir comunque che non al giallo). Le traduzioni sono ancora poche, e a parer mio è un vero peccato, vista invece l’ampia produzione giapponese.
Quindi, partendo da questa premessa, oggi vi annoierò tracciando un breve profilo sulla nascita e sullo sviluppo del giallo giapponese, nella speranza che sia possibile in futuro leggere più libri di questo genere (e, perché no, anche tradurne qualcuno!).
LE ORIGINI DEL POLIZIESCO IN GIAPPONE E L’ETA’ DELL’ORO (1920-1930)
In Occidente la nascita del giallo, o detective story, si fa coincidere con il 1841, anno di pubblicazione di The Murders in the Rue Morgue (I delitti della Rue Morgue) di Edgar Allan Poe. In Giappone, invece, il genere si sviluppa a partire dall’era Meiji (1868-1912), epoca di enormi rinnovamenti e di incontro con la cultura occidentale. Inizialmente il termine che designa il genere è quello di tantei shosetsu 探偵小説 (romanzo di investigazione), modellato sull’inglese detective story.
Alla fine dell’Ottocento il poliziesco rappresenta un nuovo tipo di letteratura ed è un genere la cui natura è indissolubilmente legata al fenomeno sociale dell’urbanizzazione. Ed è questo suo essere “genere metropolitano” ad esercitare un fascino particolare sul Giappone Meiji e Taisho (1912-1927), che sperimentava cambiamenti senza precedenti, soprattutto nella capitale. Tuttavia, la prima fase di sviluppo della narrativa poliziesca in Giappone è costituita principalmente dalla traduzione di opere occidentali e di adattamento e imitazione del modello costituito da autori come Poe, Doyle, Gaboriot. Le prime opere originali verranno prodotte solo dalla metà dell’epoca Taisho.
Tuttavia in Giappone esisteva un genere che, di fatto, costituiva un antenato del poliziesco, ovvero il saiban shosetsu 裁 判小説 (racconto giudiziario), nato in epoca Tokugawa e ricalcato sui modelli forniti da un antico testo cinese, pubblicato in Giappone nel 1649, il Toin Hiji (Casi paralleli all’ombra del pero), una raccolta di 144 casi giudiziari cinesi, che costituiva una guida per i magistrati e che diede vita a un genere chiamato Hiji mono.
Un altro genere tradizionale che influenzò lo sviluppo del poliziesco giapponese è rappresentato dai torimonochō (appunti di inchieste), racconti basati su inchieste ambientate in epoca Tokugawa, il cui iniziatore è Okamoto Kido che nel 1917 inaugura la serie Hanshichi Torimonochō (Le inchiese di Hanshichi). Il torimonochō non era altro che il blocco per gli appunti usato in epoca Edo per le inchieste di polizia. Si tratta di un genere a metà tra poliziesco e racconto storico, particolarmente apprezzato dal pubblico proprio per questa sua caratteristica e che ci fornisce un ritratto vivo dell’esistenza del popolo in epoca Tokugawa. Gli eroi sono figure di rango inferiore e il detective è uno del popolo,che conosce bene l’ambiente in cui si muove. I torimono hanno successo fino agli anni ’70, riuscendo a sopravvivere anche negli anni alla censura del regime, per il loro essere percepiti come innocui per le autorità. Tuttavia, dopo la seconda guerra mondiale il genere cambia, e con lui cambia anche la figura dell’okappiki (lo sbirro), che diventa un eroe negativo, odiato dal popolo per l’abuso di potere e la violenza che esercita.
EDOGAWA RANPO (1894-1965)
Da questo breve excursus risulta chiaro come il genere poliziesco avesse già una base autoctona in Giappone e il mondo delle inchieste stimolasse la curiosità dei lettori. Quindi, la detective story in Giappone trovò un terreno fertile per il suo sviluppo. E tornando alla nascita di questo genere in Giappone, non si può non parlare del maestro e capostipite del tantei shōsetsu, cioè Edogawa Ranpō, pseudonimo di Taro Hirai, che poi non è altro che la trasposizione fonetica del nome di Edgar Allan Poe, di cui fu grande ammiratore.
Gli anni ’20 vengono definiti l’età dell’oro del giallo giapponese: in questi anni viene fondata la rivista Shinseinen (1920-1950), fondamentale per l’affermazione e la diffusione del poliziesco, soprattutto a partire dal 1927, quando a dirigere la rivista ci sarà Yokomizo Seishi (1902-1981), anch’egli autore di gialli. Sulla rivista verranno pubblicati racconti polizieschi, horror, romanzi d’avventura. Ed è proprio su questa rivista che viene pubblicato a puntate il primo giallo giapponese: Nisen dōka (La moneta da due sen) di Edogawa Ranpō.
Il successo di critica del romanzo, unito al consenso dei lettori, danno a Ranpō lo stimolo per continuare a scrivere, nonostante la delusione nel constatare come il bundan non riconoscesse alcun valore letterario al genere, valore del quale era fermamente convinto. Per Ranpō dedicarsi al poliziesco costituisce l’occasione di trasformare l’impossibile in possibile grazie al connubio tra arte e scienza, e la scienza che egli predilige è la psicologia, in quanto strumento necessario per trovare una spiegazione alla devianza, ai comportamenti anomali all’origine dell’atto criminale. Per questo le sue storie non sempre si sviluppano attorno a un delitto, spesso presentano situazioni strane, atmosfere torbide e assurde, in cui si muovono personaggi ambigui. Storie che Ranpō si diverte a concludere in maniera del tutto inaspettata, che provoca nel lettore un effetto “sorpresa”, lasciando però le vicende sempre avvolte da un alone di dubbio e mistero. I suoi sono quindi NON-FINALI, in cui non abbiamo la soluzione dell’enigma con il conseguente ristabilimento dell’ordine iniziale.
Alcune delle sue opere, scritte tra il 1923 e il 1925:
- Soseji (I gemelli)
- D-zaka no satsujin jiken (Il caso di omicidio alla salita D)
- Shinri Shiken (Test psicologico)
- Ningen Isu (La poltrona umana)
L’opera D-zaka no satsujin jiken introduce la figura del detective Akechi Kogoro, per creare il quale si ispira ai detective della letteratura occidentale (Dupin, Sherlock Holmes, Thorndyke). Il romanzo si svolge ad Asakusa, quartiere di Tokyo dove visse lo stesso autore e che ha reso lo scenario di molti dei suoi racconti. Invece, tra le opere tradotte in italiano abbiamo Inju (La belva nell’ombra, pubblicato in Italia da Marsilio), pubblicato nel 1928 su Shinseinen, e Moju (Il mostro cieco, pubblicato da Marcos y Marcos), pubblicato invece nel 1932.
Recentemente è stato pubblicato un bellissimo volume della Collezione Urania, dal titolo L’inferno degli specchi, dove sono raccolte alcune delle opere di Ranpō, anche se non tradotte dal giapponese (La sedia umana, Il test psicologico, La camera rossa, Il bruco, La rupe, L’inferno degli specchi, I gemelli).
Altre recenti pubblicazioni in italiano di Edogawa Ranpō sono: La strana storia dell’isola Panorama (edizioni Marsilio, traduzione di Alberto Zanonato); La danza del nano e altri racconti (Atmosphere Edizioni, traduzione di Alessandro Tardito); La lucertola nera (Atmosphere Edizioni, traduzione di Alessandro Tardito).
Caratteristiche del poliziesco di Ranpō
Sentimento di noia
I suoi personaggi sono affetti da infelicità di vivere, noia e insoddisfazione verso tutto ciò che li circonda. Trovano il modo di sfuggire alla noia dedicandosi ai crimini. Figura chiave in tal senso è lo yumin, una persona oziosa che si dedica soltanto al proprio edonismo e non intende rivestire alcun ruolo sociale. La metropoli per questo personaggio diventa il luogo ideale, dove girovagare e confondersi tra la folla per alleviare il senso di noia.
Lo yumin e la pensione come isolamento dalla società
Lo sfondo delle sue storie è costituito dalla pensione (geshoku). Spesso si tratta di studenti che vengono dalla campagna, si trasferiscono nella grande città e affittano una stanza, dove potersi chiudere a chiave e che diventa tutto il proprio mondo. Questo status, che dovrebbe rappresentare solo una tappa di passaggio del Risshin shusse (l’avere successo nella vita), per molti diventa definitivo. Gli yumin di Ranpo sono egocentrici, non hanno coscienza sociale, si annoiano e sono affascinati dal mondo del crimine. Lo stesso Akechi Kogoro è uno yumin, un detective dilettante che cerca di scoprire l’enigma per il gusto e la curiosità verso ciò che è misterioso, ma non è interessato alla condanna del colpevole. In tal senso il detective e il criminale sono simili, rappresentando due facce della stessa medaglia.
Travestimento
Travestimento inteso come metamorfosi, il confondersi tra la folla e girovagare per la città per sfuggire alla noia.
E’ evidente come Ranpō non tenga fede al principio generale su cui poggia il giallo classico, portare avanti l’inchiesta in modo logico basandosi sulla deduzione. In alcune opere manca la componente delittuosa o la detection, prediligendo la creazione di situazioni strane, grottesche, mentre i personaggi vivono in un mondo appartato, rifuggono la realtà che per loro non è interessante, sono afflitti da un senso di disagio, noia che combattono ricercando il piacere dei sensi o il crimine. Si sottraggono alla noia attraverso la creazione di un mondo ideale, al di fuori della realtà.
Curiosità
I polizieschi giapponesi forse non hanno molto fama da noi, ma sicuramente tutti conosceranno il Detective Conan, anime tratto dal manga omonimo di Gōshō Aoyama. Come molti di voi sapranno, il nome completo adottato dal giovane detective è Conan Edogawa, un omaggio ai due maestri del genere, sir Arthur Conan Doyle e Edogawa Ranpō.
Alla prossima!
Adoro Conan Doyle e quello che hai scritto è molto interessante davvero…
Passa a conoscermi se ti va.
Baci
Luna
Sono contenta che hai apprezzato l’articolo! Non leggo gialli molto spesso, ma i romanzi di Conan Doyle sono sicuramente tra i miei preferiti!
A presto! E grazie per la visita 🙂