Prepararsi per un colloquio di lavoro

Domani ho un colloquio per un lavoro a cui terrei particolarmente e sto cercando di prepararmi per affrontarlo al meglio, e nonostante non sia il primo colloquio che faccio (né sarà l’ultimo) sono comunque agitata come se dovessi fare un esame (e qui scatta il classico: gli esami non finiscono mai!). Quello che mi domando è: ma ci si può veramente preparare per un colloquio?

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In questi anni di ricerca ne ho fatti di colloqui… colloqui individuali e di gruppo, con giochi di ruolo, psicologici, superficiali, interrogatori ecc. Eppure ogni volta sembra sempre la prima e se non si ama essere e sentirsi sotto esame (come la sottoscritta) non è facile in quei 10-20 minuti dimostrare all’interlocutore chi sei, cosa sai fare e quello che vali. Probabilmente è per questo che i miei colloqui non hanno praticamente mai portato a nulla!

E quindi ora cerco di prepararmi esattamente come se andassi a fare un esame. Solo che l’argomento stavolta sono io.

Ovviamente, è scontato cercare di saperne il più possibile sull’azienda per la quale vi state candidando, almeno sapere cosa produce! Ma ancor più importante è conoscere al meglio se stessi, e sapere cosa è bene dire e cosa no.

Ora, non voglio certo fare un articolo di consigli su cosa indossare, cosa dire, come parlare, gestualità ecc. giacché su internet ne trovate in quantità industriali, mi interessava semplicemente condividere come cerco di prepararmi per affrontare nel miglior modo possibile.

Parlare di sé e delle proprie esperienze

Solitamente i colloqui cominciano sempre con una domanda generica su chi sei, cosa fai, cosa vuoi… Domanda facile, ma che può portare a deviare troppo la conversazione. Io di solito cerco di prepararmi riassumendo al meglio il cv. Parto dalla laurea conseguita (se specialistica solo quella), le lingue e le materie studiate, eventualmente l’argomento della tesi e il motivo per cui ho scelto di studiare quello che ho studiato. Facendo giapponese, poi, tutti i selezionatori si stupiscono sempre e mi chiedono il perché della mia scelta, anche se non ha alcuna connessione col tipo di lavoro. Devo dire che il giapponese per certi versi da dei vantaggi, perché 9 volte su 10 la conversazione verterà su quello. E perché proprio giapponese, ma è molto difficile, ma è una cultura così diversa… Diciamo che può dare l’impressione di una scelta per certi versi impegnativa rispetto alle solite lingue (anche se questo è ovviamente opinabile) e di sicuro non può che fare una buona impressione (di chi non ha paura a prendere un impegno, anche se difficile, e portarlo a termine).

Smaltita questa prima parte, passo alle esperienze lavorative. Di solito cerco di rimarcare quelle più vicine o affini al lavoro per cui mi candido, cercando di spiegare al meglio quali sono le mie mansioni e le competenze acquisite, oltre alle capacità sviluppate (rapporto con il pubblico, capacità di problem solving, attitudine a lavorare sotto stress).

Conoscenze linguistiche

A un certo punto del colloquio si passerà alla parte conoscenza delle lingue. A volte chiedono se si sono fatti soggiorni all’estero (anche questo ottimo argomento di conversazione: indipendenza, spirito di intrapendenza ecc.), ma spesso si sarà sottoposti a un più o meno breve colloquio in lingua, a volte con domande a bruciapelo mentre si parlava di qualcos’altro in italiano. Spesso chi ve lo fa ne sa meno di voi, quindi ve la potete cavare in poco tempo e piuttosto brillantemente, a volte invece il colloquio può essere piuttosto difficile e intenso. In qualunque lingua facciate il colloquio, io consiglierei sempre di prepararsi un “mini-discorso” a meno che non siate perfettamente bilingue, perché per quanto si possa essere bravi, spesso l’emozione gioca brutti scherzi. Il colloquio in lingua può richiamare quello che è stato il colloquio in italiano, quindi studi, esperienze, punti di forza e di debolezza… Si può finire a parlare di hobby, di qual è stato l’ultimo film visto/ultimo libro letto, se è piaciuto, perché sì, perché no, cosa fai nel tempo libero. Domani forse mi ritroverò ad affrontare un colloquio in giapponese, mai fatto prima, e sono un po’ nervosa e sto cercando di prepararmi per non rischiare di rimanere muta come un pesce… Non sono molto brava con le parole, ma questo in qualunque lingua!! Confido nella mia preparazione, consapevole che la conoscenza del giapponese a livello madrelingua non era requisito assolutamente necessario.

Parlare dei propri punti di forza e debolezza

Questa è una domanda che detesto. Che può riassumersi in: mi dica tre suoi pregi e tre suoi difetti. Ma poi, perché tre? Non basta uno, o due? Con i pregi ancora ancora me la cavo, cercando di puntare veramente sui miei punti di forza, ma come si fa con i difetti, quando qualunque cosa dirai potrà essere usata contro di te? Uno può dire sono troppo pigro? Tendo a dimenticare le cose? Sono una ritardataria cronica? Quando ho le mie cose mi girano a mille? Allo stesso tempo, la teoria del trasformare un difetto in un pregio mi sembra quanto di più falso possa esistere (ho il vizio di lavorare troppo….ma dai, chi ci crede?). Uno dovrebbe cercare di essere sincero il più possibile, e io spesso dichiaro i miei reali difetti, anche se essere timidi, o testardi o permalosi non è mai visto di buon occhio. Ma una persona può essere considerata solo come la somma dei suoi pregi e difetti?

E con questa riflessione vi lascio, che sto per staccare dal lavoro. Un capitolo a parte meriterebbero i colloqui psicologici, ma magari la prossima volta!

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

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