Come prima cosa, buon Ferragosto a tutti voi! 😀
Ve la state spassando al mare, in montagna o ovunque voi siate, eh? Beati voi, c’è invece a chi tocca lavorare, altrimenti come farebbero i poveri (?) turisti di Roma Capitale senza di me?? T_T
Comunque, oltre a lavorare, trascorro le mie giornate cullandomi nelle mie amate letture di narrativa giapponese, l’ultima delle quali, devo dire, piuttosto cupa.
LE QUATTRO CASALINGHE DI TOKYO
di Natsuo Kirino
Traduzione Lydia Origlia
Trama: Nel turno di notte di una fabbrica lavorano quattro amiche logorate dalla vita casalinga e coniugale. Il loro sistema nervoso è sottoposto a una continua tensione. La prima a cedere è la più giovane, la graziosa Yayoi, madre e moglie esemplare. Una notte, in un impeto di rabbia, strozza con una cintura il marito, tornato a casa ubriaco dopo aver dilapidato tutti i risparmi con una ragazza cinese abbordata in un bar. Yayoi chiede aiuto a Masako, l’amica più intelligente e coraggiosa, che a sua volta coinvolge Yoshie, una donna maltrattata da una figlia adolescente capricciosa e da una suocera invalida.
Alienazione, solitudine, dolore, sofferenza.
Quando sono arrivata alla fine di questo lungo romanzo sono queste le prime parole che mi sono balenate per la mente. Ho faticato a finirlo, partito benissimo, a metà (una lunga metà) si perde tra i troppi personaggi, per poi risollevarsi degnamente con il finale. Fino a quel momento, infatti, mi sembrava che le quattro casalinghe (che poi casalinghe non sono, in effetti) girassero senza meta, quasi come degli automi, vittime di scelte che sembrano subite, tuttavia il finale mi ha illuminato. La libertà. Era questo quello che cercano le quattro protagoniste sin dall’inizio. Il liberarsi dai legami, da una vita insoddisfacente, da un lavoro alienante, da situazioni familiari invivibili. E il denaro è il perno di tutto, perché in fondo per loro senza soldi non si può essere veramente libere.
Il romanzo è un noir, ottima la struttura narrativa e l’intreccio, il ritmo rimane per una buona parte sostenuto,intriso da un gusto perverso per la morte. L’autrice compie una spietata indagine nel lato oscuro dell’animo umano, oltre che una profonda critica alla società.
Quello che mi è piaciuto è il voler dare voce a tutti i personaggi, e rivivere alcune scene da più punti di vista. E in questo mi è piaciuto il dualismo Satake – Masako, l’uno lo specchio dell’altra.
Il romanzo in definitiva mi è piaciuto, ma non quanto mi sarei aspettata, mentre il finale mi ha ricordato un po’ Il mostro cieco di Edogawa Ranpo, vero capostipite del giallo giapponese.