Oggi voglio proporre un argomento che mi interessa molto e che è stato oggetto della mia tesi, sperando possa risultare utile, o anche semplicemente interessante per chi legge.
La letteratura della bomba atomica (Genbaku Bungaku)
Il termine genbaku bungaku 原爆文学 indica una corrente letteraria che racchiude al suo interno diverse tipologie di opere, il cui comun denominatore è costituito dall’esperienza del bombardamento atomico. Ci si è spesso interrogati sul reale valore letterario di questo genere: i critici, infatti, sono stati spesso feroci nei confronti degli scrittori hibakusha, in quanto il genere delle memorie personali e delle autobiografie, di cui tale filone ovviamente abbonda, sono da sempre considerate letteratura di secondo ordine. D’altra parte, l’imperativo assoluto e morale dei sopravvissuti era quello di raccontare e di descrivere la realtà dei fatti il più fedelmente possibile: esigenza che si è scontrata con la questione della memoria, e quindi di quale fosse il ruolo della letteratura, in quanto rappresentazione e documentazione di un evento storico drammatico[1].
In Giappone, gli autori del dopoguerra a lungo si sono posti il problema: come riuscire a far rivivere su carta quell’esperienza così drammatica da essere definita “al di là delle parole” (gengo ni zessuru) e quindi indescrivibile? Ovviamente non si può ricostruire la “forma originale”, per cui le opere di questo tipo oscillano sempre tra memoria e ricostruzione fittizia. Il confine tra letteratura e opera documentaria è pertanto labile.
Le opere sulla bomba atomica sono state oggetto di varie proposte di classificazione, ognuna delle quali individua tre fasi distinte:
1) “evocare le rovine”: fase caratterizzata dalla testimonianza diretta di opere documentarie, realizzate subito dopo la guerra. Sono le opere scritte dai sopravvissuti colpiti dalla bomba atomica in età adulta, che cercano di dare una descrizione il più possibile immediata e fedele degli eventi. I principali esponenti di questa prima fase sono considerati Hara Tamiki (1905-1951), Ōta Yōko (1903-1963) e il poeta Tōge Sankichi (1917-1953). La loro è considerata una letteratura di testimonianza, scaturita dalla natura dell’evento e dall’urgenza di oggettivarlo, in base a una responsabilità che gli scrittori sopravvissuti hanno avvertito nei confronti dell’umanità.[2]
lo scrittore sopravvissuto Hara Tamiki, appena fuggito in un luogo ritenuto sicuro, si accovacciò sulla riva del fiume, e quando finalmente credette di essere in salvo, pensò: “… ma adesso il fatto che fossi vivo, con tutto ciò che questo comportava, fu per me come una folgorazione. Dissi a me stesso che dovevo scrivere quello che era accaduto”[1], e Ōta Yōko, lungo una strada in cui erano sparpagliati ovunque cadaveri, così rispose alla sorella: “Sto osservando con entrambi gli occhi: quello di essere umano, e quello di scrittrice”, “Dovrò scriverne in futuro. È il dovere dello scrittore che ha assistito”.
[1] Hara Tamiki, L’ultima estate di Hiroshima, p. 74
Estratto della mia tesi di laurea.
2) “raggiungimento di una prospettiva a distanza”: di questa fase fanno parte i cosiddetti scrittori della seconda generazione, molti dei quali non diretti testimoni del bombardamento, cosa che ha permesso loro di creare nelle loro opere un effetto di distanziamento, rispetto all’argomento trattata. Si tratta di una fase di rielaborazione artistica, il cui testo più rappresentativo, considerato anche il testo “per eccellenza” sulla bomba atomica, è Kuroi Ame (La pioggia nera), scritto da Ibuse Masuji (1898-2003), che non darà mai la descrizione dettagliata del bombardamento, non essendovi stato presente, ma soltanto una sua parziale rappresentazione attraverso le testimonianze di diversi hibakusha, il tutto all’interno di un contesto fittizio.
3) “l’espansione nel tempo e nello spazio”: in questa fase la bomba atomica è narrata in una prospettiva più ampia, che fuoriesce dai confini del Giappone e del periodo storico preso in considerazione. Svanisce il legame con l’evento particolare, si oltrepassano i limiti del passato di Hiroshima e Nagasaki, per arrivare a opere la cui prospettiva è ampliata e si sposta dal passato al futuro dell’era nucleare. La letteratura di Ōe Kenzaburō (1935-) può considerarsi un anello di congiunzione tra la seconda e quest’ultima fase, che vede tra i suoi principali esponenti sia scrittori sopravvissuti come Hayashi Kyōko (1930-), giovane testimone del bombardamento, che iniziò a scriverne solo trent’anni dopo, e altri che non sono stati testimoni diretti della tragedia, come Inoue Mitsuharu (1926-1992) e Oda Makoto (1932-2007). Quest’ultima fase è soggetta a una continua evoluzione: non si tratta più della descrizione dettagliata degli effetti e della devastazione causati dal bombardamento: il genbaku bungaku diventa infatti kaku bungaku (letteratura del nucleare, 核文学).
In base a tale classificazione si evince chiaramente che si è cominciato a scrivere opere sulla bomba atomica subito dopo il bombardamento, nonostante le difficoltà incontrate: da un lato, infatti, la censura delle forze di Occupazione ha tentato in tutti modi di sotterrare l’argomento, considerato tabù, dall’altro, probabile conseguenza della censura, si è riscontrato poco interesse per l’argomento da parte dei lettori. Le opere di questo tipo, inoltre, non erano considerate “letteratura pura” (junbungaku 純文学) e di fatto sono sempre rimaste in posizione piuttosto periferica rispetto al mondo letterario giapponese (bundan).
Il valore delle opere sulla bomba atomica fu riconosciuto soltanto a partire dagli anni Sessanta-Settanta, quando autori come Ibuse Masuji e, poi, Ōe Kenzaburō, che non avevano sperimentato sulla propria pelle le radiazioni dell’atomica, iniziarono ad interessarsi e a scrivere dell’argomento.
Principali opere ed esponenti del genere
Quindi, nella prima fase dell’evoluzione della letteratura della bomba atomica si sono realizzate opere per lo più di tipo testimoniale e documentario, scritte dai sopravvissuti (hibakusha) all’Olocausto nucleare. Si tratta quindi di opere nate dall’urgenza di testimoniare e ricordare. La maggior parte di queste sono state scritte da autori dilettanti, e riportavano, spesso in forma diaristica, le loro esperienze personali durante e dopo la bomba atomica. Tuttavia, in questa prima fase è possibile anche annoverare autori che erano già scrittori affermati prima dello sgancio della bomba atomica: Hara Tamiki e Ōta Yōko.
Entrambi sopravvissuti alla bomba atomica, da subito hanno sentito l’esigenza e la responsabilità di dover trasmettere il significato di quanto accaduto. Le loro opere, Natsu no hana (Fiori d’estate) di Hara Tamiki e Shikabane no machi (Città di cadaveri) di Ōta Yōko, sono state scritte entrambe alla fine del 1945, ma a causa della rigida censura esercitata dalle forze di occupazione, riuscirono ad essere pubblicate solo, rispettivamente, nel 1947 e nel 1948. Entrambe le opere hanno un forte impatto emotivo, sebbene differenti nello stile: infatti, se la prosa di Ōta è più diretta e simile al reportage, quella di Hara è più letteraria.
Una parte significativa della letteratura su Hiroshima è sicuramente costituita dalle poesie. Tra i poeti della bomba atomica si ricordano principalmente Tōge Sankichi, Shoda Shinoe e Kurihara Sadako: tutti loro presenti al momento dello sgancio della bomba atomica, ne hanno fatto il motivo portante delle loro opere. La prima raccolta di poesie di Tōge Sankichi, intitolata Genbaku shishū (Poesie della bomba atomica) fu pubblicata nel 1951, mentre Shoda Shinoe, eludendo la censura delle forze di occupazione, pubblicò segretamente nel 1947 Sange (Confessione), una raccolta di tanka.
La voce di Kurihara Sadako, il mio libro che raccoglie una quarantina di poesie a verso libero della poetessa di Hiroshima
A partire dagli anni Sessanta, cominciarono ad essere pubblicate opere su Hiroshima di scrittori che non erano stati testimoni diretti della bomba atomica, quindi non partono da una propria esperienza individuale, ma sono riusciti a captare, nella distanza temporale e spaziale, le implicazioni concrete dei due eventi e la loro valenza universale. Kuroi Ame (La pioggia nera) di Ibuse Masuji e Hiroshima Nōto (Note su Hiroshima) di Ōe Kenzaburō, rappresentano senz’altro i vertici di questa fase letteraria. Tra gli altri autori che non hanno vissuto direttamente il bombardamento possiamo citare: Inoue Mitsuharu, con Tsuchi no mure (Cumuli di terra), pubblicata nel 1963; Hotta Yoshie, che ha scritto Shinpan (Giudizio) nel 1963; Miyamoto Ken, autore del dramma teatrale Za Pairotto (The pilot) del 1964; Iida Momo, autore di America no eiyu (Eroe americano) del 1964; Fukunaga Takehiro, autore di Shi no shima (Isola di cadaveri) del 1971; Sata Ineko con Juei (L’ombra degli alberi) del 1972; Watanabe Hiroshi, autore di Shūmatsu densetsu (Leggende della fine) del 1978 e Oda Makoto con Hiroshima (Hiroshima) 1981.
Alcuni scrittori hibakusha hanno iniziato a scrivere opere sulla bomba atomica solo negli anni Settanta, ben 25 anni dopo lo sgancio delle bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, tra questi c’è Hayashi Kyōko (1930-2017), la quale subì bomba atomica a Nagasaki all’età di 14 anni, per poi iniziare a scriverne solo in età adulta. Il suo primo romanzo è Matsuri no ba (Il luogo della festa) scritto nel 1970, è un’opera che viene considerata come il passo successivo alla prima produzione del genbaku bungaku. Nel suo caso, infatti, l’accaduto emerge come trauma personale e come questione sociale: la prospettiva non è più quella di una “letteratura delle macerie”, come quella dei primi scrittori del genbaku, ma è una prospettiva a distanza, in cui gli eventi del passato si caricano dei significati della storia presente e valicano i confini del singolo evento storico per diventare minaccia concreta dell’umanità. Nelle sue opere si sofferma solo in minima parte sui fatti specifici del 9 agosto 1945: quello che racconta e analizza sono le conseguenze nella sua vita quotidiana, i risvolti psicologici sulle vittime, la presenza costante di un evento che per sua stessa natura non può diventare passato.
Note:
[1] Bienati Luisa, Letteratura giapponese II. Dalla fine dell’Ottocento all’inizio del terzo millennio, p. 39.
[2] Tanaka Kuniko, Parlare dell’indescrivibile. Appunti su Hiroshima e Nagasaki nella letteratura giapponese, in Dopo Hiroshima. Esperienza e rappresentazione letteraria, p. 71
Bibliografia in italiano sulla bomba atomica:
La Pioggia Nera di Ibuse Masuji
Traduzione: Luisa Bienati
Editore: Marsilio
Note su Hiroshima di Ōe Kenzaburō
Traduzione: Gianluca Coci
Editore: Alet Edizioni
L’ultima estate di Hiroshima di Hara Tamiki
Traduzione: Gala Maria Follaco
Editore: L’ancora del Mediterraneo
grazie mille 🙂 questo pezzo mi è stato utilissimo per la mia tesina:)
Grazie a te! Sono contenta ti sia stato utile, passa di qui quando vuoi 🙂
Bellissimo articolo Dany, purtroppo non ho letto nulla della letteratura della bomba atomica, ma qui ho trovato tanti spunti per iniziare.
P.s. mi piace molto lo stile della nuova grafica del blog!
Grazie mille Elena, sono contenta che l’articolo ti sia piaciuto (insieme alla nuova grafica!! 🙂 ), è un argomento che mi sta molto a cuore, questo.
Dei libri ti consiglio in particolare il libro di Hara Tamiki, vera e propria testimonianza di quei terribili momenti.
Un abbraccio Elena e a presto!!
sono bruno sono segre. Anpi…grazie il giorno 6 Agosto commemoriamo hiroshima e nagasaki lungo il fiume del nostro
paese (Mirano in provincia di venezia) che si chiama Muson…da quella sera si chiamerà Muson-Ota.. saranno letti brani di scrittori e poeti giapponesi grazie ancora per le notizie letterarie .Saremmo grati se tu potessi mandarci uno scritto che sarà letto quella sera e se vuoi venire a mirano sarai nostra ospite saluti