IL RISTORANTE DELL’AMORE RITROVATO
Titolo originale: Shokudo katatsumuri
di Ito Ogawa
Traduzione: Gianluca Coci
Edizione Neri Pozza
Una dolce storia appena appena tratteggiata sull’amore e la gioia della cucina.
Il romanzo, come il film, racconta la storia di Ringo, una ragazza che lavora come cameriera in un ristorante turco. Una sera di ritorno dal lavoro fa un’amara scoperta: il suo ragazzo, col quale conviveva da un po’ e con cui aveva il sogno di aprire un ristorante, è sparito nel nulla, e insieme a lui tutti gli oggetti di casa, i suoi risparmi, i suoi sogni. Il dolore lascia la giovane Ringo sgomenta e letteralmente senza parole, colpita da “afonia psicogena” provocata da shock emotivo. Ringo a questo punto, senza più nulla da perdere, decide di
tornare nel paese di origine, in campagna, e di rifugiarsi presso la casa materna, da dove era fuggita all’età di 15 anni senza farvi più ritorno. Con sé ha solo un barattolo di nukadoko (pasta fermentata a base di crusca di riso), ereditato dalla nonna e conservato con amorevole cura: l’unico oggetto rimasto nella casa vuota, l’unico oggetto da cui ripartire per ritrovare se stessa. Non riuscendo a parlare, né a risolvere i vecchi conflitti irrisolti con la madre Ruriko, Ringo si dedica alla cucina, sua grande passione, tutto ciò che le è rimasto della sua vita in città e che la aiuterà a rimettersi in piedi, realizzando il suo sogno più grande: quello di aprire un ristorante. E dopo mesi di duro lavoro, aiutata dal fedele Kuma-san, riuscirà nel suo intento e aprirà Il Lumachino, un piccolo ristorante pensato per un solo cliente alla volta e che servirà piatti speciali, pensati su misura in base ai gusti e alla personalità del cliente, che risveglieranno le emozioni e i sentimenti degli avventori del ristorante. E così l’anziana Concubina riscoprirà l’amore per la vita, la giovane liceale riuscirà a conquistare il cuore dell’amato e una famiglia riuscirà a salutare con affetto il nonno che sta per essere ricoverato in una casa di riposo. Il ristorante avrà un enorme successo, mentre i rapporti con la madre si faranno sempre più tesi, fino a che Ringo non riceverà una notizia che manderà in scompiglio le loro vite.
“Cucinare quando si è arrabbiati, tristi e di cattivo umore” mi diceva sempre la nonna “è molto rischioso, perché il nostro stato d’animo infelice trasparirà di certo nel gusto e nella disposizione del cibo nei piatti. Quando si prepara da mangiare, bisogna pensare a qualcosa di bello e stare davanti ai fornelli con gioia e serenità”.
Questa frase riassume perfettamente lo spirito del romanzo, ed è una cosa a cui anche io ho sempre creduto. Le nostre emozioni si trasferiscono in quello che cuciniamo, e quindi il nostro cibo parlerà di noi, di quello che proviamo mentre lo prepariamo, esattamente come il cibo parla per Ringo, che non ha altri mezzi per esprimersi se non la propria cucina. E Ringo riesce a trasmettere l’amore che prova per quello che fa, lo si vede dal momento della scelta degli ingredienti fino alla preparazione, il tutto assume quasi un tono mistico, come si trattasse di una cerimonia.
Chi ama cucinare, ama cucinare per gli altri.
Regia di Mai Tominaga
(Shokudo katatsumuri, 2010, C, 118’)
Si tratta di un film delicato e fresco, diretto con il tocco femminile di Mai Tominaga che sceglie per il ruolo di protagonista la popolare star Kou Shibasaki, famosa in Giappone anche come talento culinario, affiancata dalla bravissima Kimiko Yo nel ruolo di Ruriko, l’eccentrica madre di Ringo. Inizio subito col dire che se non avete amato il romanzo, sicuramente non apprezzerete neanche il film. Infatti la storia è riportata fedelmente sullo schermo, con le stesse identiche situazioni. Il film si apre con la giovane protagonista Ringo già catapultata nella casa materna dopo lo shock subito a causa della rottura col fidanzato che ha abbandonato la loro casa, portandosi via tutto. Alcune scene animate accompagnate da una canzoncina spiegano gli sviluppi della storia, da quando Ringo abbandona la casa materna per fuggire nella grande città, dove scoprirà l’amore per la cucina trasmessole dalla nonna, fino al suo ritorno al paese natio, in seguito alla perdita di voce e fidanzato. Qui Ringo si darà da fare per risollevarsi, realizzando il suo sogno: aprire un ristorante. Il suo però sarà un ristorante molto speciale: potrà ospitare un solo gruppo di persone alla volta, e il menù sarà personalizzato in base alle caratteristiche e alla personalità dei clienti. L’amore per la cucina, la sacralità della preparazione dei suoi manicaretti, la profonda attenzione e cura nella scelta delle materie prime, renderanno speciali piatti di Ringo, tanto da essere definiti “magici”, in grado di realizzare i desideri di chi li consuma. E in questo tripudio di colori e sapori, Rinco ritroverà la sua serenità e riuscirà a risolvere i conflitti con la madre, fino a ritrovare anche la voce perduta, curata dalla sua stessa medicina.
Come dicevo, il film segue passo passo l’evoluzione della storia narrata nel libro di Ogawa, riprendendo molte di quelle situazioni non sense, piuttosto comuni in molta della letteratura giapponese, che probabilmente avevano fatto storcere il naso a molti. Anche l’adorato maialino Hermès non viene risparmiato, come nel libro, ma almeno ci viene evitata la crudezza della descrizione della sua uccisione e macellazione. L’attrice protagonista, Kou Shibasaki, famosa in Giappone anche come talento culinario, l’ho trovata bravissima e molto centrata nel ruolo, considerando che non parla praticamente per tutto il film!
Sia il film che il romanzo sono piuttosto leggeri, adatti a una visione (o a una lettura) spensierata. Nel film, le sequenze animate, le musiche e le canzoncine su Ringo e sua madre lo rendono molto cartoonesco e allegro (oserei, quasi psichedelico). E come nel libro, non può che trasparire il profondo amore per la cucina, consiglio la visione a stomaco pieno, gustando con gli occhi i manicaretti di Ringo e lasciandosi travolgere dall’esultanza di colori.