Tsukumogami – lo spirito degli oggetti

In Giappone anche le cose hanno un’anima. Un’anima toccata dalle tante persone che ne fanno uso, che le stringono tra le mani, che le afferrano, che le donano ad altri, e che talvolta le buttano via. Gli oggetti vivono attraverso le nostre mani.
Quegli oggetti che ci accompagnano nella nostra vita e nelle nostre varie attività non sono mere “cose” da sfruttare e disfarcene a nostro piacimento. Hanno una loro essenza, ci aiutano nel nostro lavoro, ci scaldano e ci coprono, ci permettono di creare cose nuove, in alcuni casi ci fanno compagnia; a volte gli oggetti, come la celebre coperta di Linus, sono ancore di conforto, che teniamo strette a noi perché ci danno sicurezza, ci aiutano ad affrontare le nostre paure, e ci seguono per parte della nostra vita, come compagni di viaggi silenziosi su cui poter sempre fare affidamento. Ed è nello scorrere del tempo che si animano di vita fino a diventare degli spiriti.

Tratta da Flickr (Cat Oshiro)
Tratta da Flickr (Cat Oshiro)

Si chiamano tsukumogami 付喪神 (gli spiriti delle cose), e secondo una credenza giapponese hanno origine da un qualunque utensile che abbia compiuto almeno 100 anni. Raggiunta tale età, tutti gli oggetti diventano spiriti, il cui aspetto può variare molto, sia in base al tipo di oggetto da cui viene originato, sia in base all’uso che ne è stato fatto e alle sue condizioni. Se l’utensile è stato gettato via senza alcun rispetto, perché ritenuto ormai inutile, oppure trattato male o rotto, diventerà uno spirito maligno in cerca di vendetta, e anche il suo aspetto sarà terrificante; in caso contrario, avrà un aspetto benevolo e si manifesterà solo per apparizioni inoffensive.

Karakasa 唐伞, tra i tipi più comuni di tsukumogami, è lo spirito di un vecchio ombrello
Karakasa 唐伞, tra i tipi più comuni di tsukumogami, è lo spirito di un vecchio ombrello

Ed è proprio per evitare ritorsioni da parte degli utensili trasformatisi in spiriti malevoli che, ancora oggi, si svolgono delle cerimonie per dare consolazione e rendere grazie agli oggetti ormai vecchi e inutilizzati. Questi riti sono chiamati kuyou 供養 (cerimonia funebre, quindi una sorta di funerale degli oggetti vecchi) e alla fine delle cerimonie questi oggetti vengono distrutti.
Celebre ad esempio è il funerale delle bambole (Ningyou kuyou 人形供養), che si svolge in diversi templi e santuari giapponesi solitamente nel mese di ottobre. Durante tale cerimonia si rende l’estremo saluto alle bambole amate ma ormai non più desiderate perché rotte o vecchie. Si prega per loro e si ringraziano per il compito svolto, infine vengono bruciate e affidate alla benevolenza di Kannon, bodhisattva della compassione.

Picture by Alain Davreux (tratta da Pinterest)
Picture by Alain Davreux (tratta da Pinterest)

Famoso anche il rito funebre dedicato agli aghi da cucito rotti (Harikuyou 針供養) che si tiene ogni anno l’8 febbraio in diversi templi e santuari del Giappone, sempre allo scopo di rendere grazie agli aghi per il lavoro svolto e pregare per loro. Secondo la tradizione, le sarte giapponesi nel giorno dedicato alla divinità protettrice delle risaie si riposavano dai lavori quotidiani di cucito, e ne approfittavano per mostrare la loro gratitudine e rispetto ai vecchi aghi rotti e ossidati mettendoli in torte di tofu o konnyaku.

Tratta da Pinterest
Tratta da Pinterest

Io che tendo ad affezionarmi a qualunque cosa mi capiti tra le mani, che carico di valore affettivo e dei ricordi del passato, cosa che mi impedisce di separarmene, non posso che apprezzare questa estrema forma di rispetto nei confronti dei nostri oggetti. Non so oggi quanti oggetti arrivino al secolo di vita e riescano così a conquistare la loro anima (si ritiene, tra l’altro, che i moderni oggetti elettrici non possano diventare tsukumogami), eppure credo che l’anima alle cose gliela diamo noi, nel nostro uso quotidiano, continuando a tenerle con noi, prendendoci cura di loro affinché durino il più a lungo possibile, facendone dono ad altri, senza disfarcene in malo modo. Mottainai 勿体無い dicono i giapponesi, è uno spreco!, e credo sia questa l’essenza ultima del rispetto nei confronti degli oggetti: non sprecare, non trattare male, non buttare un oggetto che può ancora mostrare la sua utilità. O se possibile, riciclalo, per permettergli così di dar vita a un nuovo oggetto.

E voi, che rapporto avete con gli oggetti?

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

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