Parlare del Giappone

Il Giappone sa suscitare grandi entusiasmi, e causare terribili delusioni

Cit. Angela Terzani Staude – Giorni Giapponesi

Parlare del Giappone non è mai una cosa semplice. Questa è una riflessione che mi accompagna da diversi giorni, scaturita da diverse letture, video, opinioni in rete, chiacchiere. E nasce dalla considerazione del fatto che oggi, paradossalmente, parlare del Giappone è diventato una cosa estremamente facile.

È facile perché in tanti, in tantissimi ne parlano, lo vedo sui social, sui blog e nella mia vita reale. Oggi il Giappone va, e la conseguenza inevitabile è che si legge e si sente di tutto. Semplificazioni estreme, assiomi, giudizi. Positivi e negativi. Ripenso alla mia “storia” col Giappone, iniziata ormai più di 10 anni fa, quando ancora esistevano pochi siti e blog che ne parlavano (come il blog di Bunny chan, quasi un’istituzione, il sito Giappone Giappone e pochissimi altri), ricordo i discorsi di chi ci aveva vissuto e di chi lo aveva visitato, che non erano altro che un modo per cercare di conoscere più da vicino questo paese affascinante e complicato, e nonostante neanche all’epoca fosse più una meta così irraggiungibile, lo era comunque per me e per i tanti che avevano studiato insieme a me, una sorta di mito, quasi, e chi riusciva a partire per i famigerati 3 mesi di studio estivo, sfruttando i 90 giorni in cui si può soggiornare nel paese senza visto, era considerato quasi alla stregua di un pioniere. All’epoca ricordo che la mia impressione fosse che il Giappone andasse molto di moda, ma mi rendo conto oggi che la mia visione era giocoforza falsata: ero circondata da persone che avevano i miei stessi interessi, studiavamo insieme, sognavamo il Giappone, terra lontana, sembravamo tantissimi, in realtà non lo eravamo, per lo meno non come oggi, che il Giappone è diventata una meta “quasi” alla portata di tutti. E devo ammetterlo, per me è ancora strano, andare in giro e sentire gente disquisire di Giappone, di cucina giapponese, di giardini, dello zen, è un fatto a cui faccio fatica ad abituarmi. La tentazione, forte, è quella di voler correggere, di pretendere di insegnare qualcosa, quando mi rendo conto che io stessa ancora oggi ho tanto da imparare. Dall’altro lato, nasce una sorta di preoccupazione, il timore che nelle mani dei tanti che ci si avvicinano a volte con fare inconsapevole, qualcosa si rompa, o si sciupi, o non sia più come la ricordavo. È inevitabile, ovviamente, ma ammetto che è una di quelle cose di cui non riesco mai a farmene una ragione.

Le interminabili file al padiglione Giappone di Expo. Ph credit: Repubblica.it
Le interminabili file al padiglione Giappone di Expo. Ph credit: Repubblica.it

Sono due i fattori scatenanti che mi hanno portato a queste riflessioni: una è il gran clamore che hanno suscitato i servizi de le Iene (il famigerato dedicato alla pedo-pornografia, e quello trasmesso ieri, dedicato agli hikikomori, quest’ultimo tutto sommato ben argomentato, anche se sempre un po’ superficiale). Non intendo soffermarmi ulteriormente su questo argomento, in tanti ne hanno già parlato e non mi piace cavalcare l’onda, posso riassumere la mia opinione nelle mie parole iniziali: parlare del Giappone non è semplice, e quando lo si fa, bisognerebbe farlo con una maggiore cognizione di causa e con attenzione, non al fine di creare sensazionalismi. Allo stesso tempo, mi lascia perplessa, e tanto, anche la reazione di chi difende sempre e comunque e a prescindere un paese che, esattamente come l’Italia e come tutti i paesi del mondo, ha tantissimi pregi e altrettanti difetti. Non è tutto bello, e non è tutto brutto, sembra una cosa scontata e direi banale da evidenziare, ma a volte a quanto pare necessaria.

Vecchio scatto un po' mosso, Akihabara e le maid
Vecchio scatto un po’ mosso, Akihabara e le maid

L’altra invece è stata quando tempo fa su Twitter mi è stato chiesto se avessi letto Giorni Giapponesi, il diario dei cinque anni vissuti (male) in Giappone dalla famiglia Terzani, scritti dalla moglie di Tiziano, Angela. Durante gli anni universitari ne avevo letto qualche pagina, non mi piacque quello che lessi e lo bollai come “cosa da non leggere”, e adieu. Non pensavo di riprenderlo in mano, oggi, ma ho pensato che un libro comunque va letto, anche se non ci piace, anche se scritto male o se non risponde alla nostra idea. In realtà, ciò che più temevo era che il libro corrispondesse esattamente ad alcune idee che nel tempo mi sono fatta sul Giappone e giapponesi, che confermasse dubbi e perplessità, e io che di base resto un’ottimista, una che ama vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, preferisco concentrarmi su altro, su ciò che amo. giorni_giapponesi_cop

Ho finito da poco di leggere Giorni Giapponesi, non è mia intenzione farne una recensione, ma mi ha fornito diversi spunti di riflessione. Il Giappone sicuramente non è facile, e la citazione iniziale, a mio parere, descrive perfettamente lo stato d’animo di quanti si sono avvicinati a questo paese, e a questo popolo. Non è un paese che o si ama o si odia, ma un paese che si ama e si odia, allo stesso tempo. Ho letto questo libro iniziandolo con un pregiudizio che in parte ho messo da parte, e onestamente, pensavo che il ritratto che ne dava fosse addirittura molto più duro e ingrato, invece a fine lettura mi sono trovata a pensare che in fondo Angela Terzani non odiasse il Giappone, e molto più probabilmente soffriva per il modo in cui la sua visione “ideale” del paese fosse stata così brutalizzata dalla realtà, una sensazione che a mio parere è piuttosto comune anche tra i tanti amanti del Giappone. Penso anche che la sua analisi sia per tanti versi estremamente superficiale, che lei e famiglia non hanno pienamente vissuto il Giappone, ma ci si sono solo accostati, sfiorandone a malapena la superficie, senza mai andare a fondo. Anche il non conoscere la lingua rende inesorabilmente determinati punti di vista approssimativi, senza conoscenza della lingua non può esserci conoscenza della cultura, a mio parere, o almeno una conoscenza approfondita e consapevole. Le riflessioni più interessanti del libro, molte delle quali mi hanno trovato d’accordo, non erano dell’autrice, ma riportate da altri studiosi stranieri che hanno vissuto anni e anni in Giappone. Non è, e non può essere considerato un trattato sul Giappone, ma appunto un diario, l’espressione di un’esperienza assolutamente personale. Non lo consiglierei come lettura per conoscere e capire il Giappone (piuttosto, prendete in mano Ore giapponesi di Maraini), ma per chi conosce un po’ di Giappone può essere comunque una lettura interessante.

Il Giappone che hanno conosciuti i Terzani era diverso dal Giappone di oggi, è vero, molto più aggressivo, il Giappone della bolla speculativa e della “conquista del mondo”, oggi la situazione è cambiata, e leggere certi scenari a dir poco apocalittici fa quasi sorridere, anche se penso che che ci sia un fondo di verità, e che un certo modo di vivere giapponese alla fine sia giunto sino a noi, anche se non nelle modalità predette nel libro. Mi vengono in mente i supermercati aperti 24h, realtà che inizia a vedersi anche qui (con diversi anni di ritardo, in effetti), e che ammetto di non trovare un modello ideale da seguire. La riflessione che avere sempre tutto a portata di mano e a totale disposizione, alla fine faccia perdere il sapore, nonché la fatica della conquista, con la relativa soddisfazione, è sacrosanta, anche se stiamo parlando solo di surgelati (ma è un discorso che si può applicare in tanti campi).

Konbini in Giappone. Immagine tratta da moroboshi.eu
Konbini in Giappone.
Immagine tratta da moroboshi.eu

È vero, dicevo, il Giappone odierno non è quello della fine degli anni ’80, inizio ’90, ma non tutto è così cambiato e diverso, alcune logiche sopravvivono ancora in alcuni ambiti, penso al mondo del lavoro e all’importanza dell’armonia del gruppo, uno dei capisaldi della cultura giapponese, che rende il Giappone ciò che è nel bene e nel male. Così come fino a pochi mesi fa, una ragazza giapponese più giovane di me si stupiva di come in Italia la cosa più importante fosse l’amore (inteso nel senso più ampio, per la famiglia, per gli amici), mentre in Giappone al primo posto fosse il lavoro, insieme alla patria. Un discorso che suona antiquato e un po’ superato, e che invece a quanto pare è ancora radicato in alcuni contesti.

Dicevo che parlare del Giappone non è semplice, ognuno in fondo non fa altro che darne una propria “visione”, io è un qualcosa che ormai faccio da tanti anni, ne parlo con chi ne sa più di me, e con chi ne sa meno, ne scrivo qui sopra, il mio piccolo angolo di web in cui posso riversare ciò che amo di questo paese. Nonostante tutto, non amo ritenermi un'”esperta” del Giappone, penso che ogni giorno imparo una cosa nuova, a volte mi stupisco, a volte mi arrabbio, credo da sempre che la cosa importante sia imparare a scendere a patti, non può essere tutto perfetto, e non ci si può basare su visioni ideali, la realtà ti presenta sempre il conto, e può essere diversa, nel bene e nel male, da ciò che ci aspettavamo, che poi in fondo è anche questo il bello, perché se tutto fosse esattamente come pensiamo che sia, che cosa vivremmo a fare?

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

6 Comments
  1. E’ bello scoprire il Giappone attraverso i tuoi occhi, e ti ringraziamo perché ci offri una visione ampia di un paese che ci ispira tantissimo ma che conosciamo molto poco.
    Io ne sono attratta, nonostante capisco bene quanto sia differente la loro cultura dalla nostra e alcune cose possano sembrarci assurde…ma il mondo è bello perché vario e in tutti i paesi si troveranno difetti e virtù!
    Un bacione 🙂

    1. Grazie a voi per il vostro bellissimo commento e per essere passati di qui! 🙂 Vi auguro di poter presto visitare il Giappone, sono sicura che non vi deluderà, è un paese bellissimo da scoprire. Poi è ovvio, come tutti i posti del mondo ha i suoi problemi e i suoi lati negativi, ma come dicevo anche nel post, preferisco sempre concentrarmi sul bello, sia dei luoghi che delle persone! Un bacione e a presto! 😀

  2. Ciao,
    Penso tu abbia toccato le corde giuste nell’analizzare il rapporto che molti hanno con il Giappone e la sua cultura.
    Rapporto che è caratterizzato da superficialità schietta e banale, che non riesce mai ad andare in profondità.
    Credo che ciò avvenga principalmente perché i giapponesi sono esperti nel nascondere il senso e la profondità in contenitori che possono essere i più vari, dalle istituzioni sociali all’oggetto più insignificante. In una cultura dove la suggestione e il non detto valgono di più delle parole, è facile non comprendere e fermarsi alla superficie, vuota e costruita ad hoc, anche per ripararsi da intrusioni sicuramente sgradite.
    Quello che vediamo in televisione o sentiamo dire in giro, null’altro è che un Giappone preconfezionato, creato ad uso e consumo delle masse che non capiscono, ma soprattutto molte volte non vogliono capire.

    1. Ciao Fed, grazie per il tuo lungo e articolato commento. La superficialità trovo che sia il vero male di questi anni: tutte le notizie sono sempre a portata di mano, è tutto facile e veloce da sapere, ma proprio per questo non si va mai a scavare un po’ più a fondo, e si rimane sempre a un livello di conoscenza diciamo “basic”. Questo lo penso in generale, sul caso specifico del Giappone entra in gioco anche la forte differenza culturale, e quello che dici bene tu, il non detto, la suggestione, che tante incomprensioni causano anche a chi cerca di conoscere il paese e la sua cultura più da vicino. Non so, sarà che il Giappone e la diffusione della sua cultura sono anche il mio lavoro e mi confronto quotidianamente con una percezione che sento profondamente sbagliata e approssimativa e mi trovo sempre in difficoltà, ed è vero, la sensazione che se ne ricava, alla fine, è quella di un Giappone preconfezionato a uso e consumo delle masse, per quanto non ami questa definizione.

  3. Gentile Daniela, leggo solo oggi questo vecchio post, e te ne ringrazio, anche se con molto ritardo. Mi piace come esprimi il tuo pensiero, soprattutto perchè è un pensiero “fermo” ma, allo stesso tempo, viene proposto in modo non aggressivo, non volutamente brutale. Per anni anche io ho cercato di “rifugiarmi” in blog che raccontassero il Giappone, e non pretendo che la mia idea ideale di quel paese e di quella cultura siano la realtà, naturalmente, non dovendo vivervi, in qualche modo, posso permettermi il lusso di guardare solo quello che mi attira e mi interessa di quella cultura, ma non mi nascondo i lati oscuri di cui vengo a conoscenza, oltre a quelli che il Giappone ha dato alla storia – ed ha dato prova di essere una nazione terrificante e di una brutalità estrema, come ben sappiamo.
    Ci sono persone che hanno vissuto sufficientemente in Giappone per innamorarsene, nonostante tutto, penso ad Antonietta Pastore, che ne ha anche abbondantemente raccontato, oppure ad un’altra blogger e scrittrice che seguo fedelmente, Laura Imai Messina. Tendo a pensare, comunque, che il Giappone sia un paese che quanto può essere amato viene da certi in qualche modo odiato, oppure il modo di parlarne, violento, sarcastico oltre ogni dire, che ho trovato in almeno un paio di blog di ragazzi che hanno scelto di viverci, deve essere una forma di amore masochista…
    Mi sono dilungata troppo e mi dispiace.
    Grazie per il tuo post, mi piacerebbe leggere qualche altra tua impressione di libri che hanno raccontato il Giappone. Ad esempio, che ne pensi di Will Ferguson e Autostop con Buddha?
    Ja ne….

    1. Ciao Barbara, grazie a te per questo bel commento. Il Giappone è sicuramente un paese ricco di contrasti, di aspetti meravigliosi e di aspetti che lo sono un po’ meno, ma molto banalmente penso che questo valga per qualunque posto del mondo: basti pensare all’Italia, a quanto si possa amare,e contemporaneamente odiare questo paese. Per carattere anche io tendo a vedere il bello e il buono che c’è nel mondo, per questo apprezzo molto il blog di Laura: la sua linea è chiara, mostrare e far conoscere il bello di questo paese, che non vuol dire far finta che sia tutto perfetto, che tutti noi sappiamo che non è così, ma focalizzarsi sul positivo, piuttosto che sul negativo. Però persone come Laura e Antonietta Pastore conoscono in maniera approfondita questo paese e la loro è una visione sicuramente a 360°, questo di certo non si può dire di tutti quelli che scrivono o parlano di Giappone (spesso oserei dire a sproposito), neanche io amo molto i blog o siti “sparazero” sul Giappone, perché ok che è sicuramente un paese non facile da vivere, ma se si è scelto consapevolmente di rimanerci, vuol dire che c’è qualcosa che si adatta a noi e al nostro modo di essere, altrimenti davvero si è masochisti.
      Autostop con Buddha l’ho letto diversi anni fa, ricordo che mi era molto piaciuto come resoconto di un viaggio pazzesco e fuori dall’ordinario, un po’ meno mi è piaciuto l’atteggiamento che Ferguson mostra nei confronti dei giapponesi e in alcuni suoi giudizi un po’ troppo superficiali, a mio parere, che riflettono un po’ la sua mentalità nordamericana, quasi di “superiorità”. Atteggiamento che ho riscontrato anche nella lettura di Angela Terzani ad esempio, e questo modo di fare, di chi si pone in alto e giudica tutti secondo il proprio personalissimo metro di giudizio che non può considerarsi universale, mi indispone sempre. Ecco, forse questo era l’aspetto che più di tutti mi aveva infastidito nel corso della lettura, ma tutto sommato il libro è interessante. Magari se lo rileggessi oggi cambierei la mia idea, e vedrei cose che allora non ho notato.
      Grazie ancora per il commento e a presto! 🙂

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