Bisogna conoscere le case giapponesi per valutare concretamente la situazione. Da noi (civiltà della pietra e del mattone) una camera è una grotta artificiale; chiudi la porta e sei isolato dal mondo. In Giappone (civiltà del legno e della carta) chiudi, anzi meglio fai scivolare gli shoji, le porte a slitta di leggerissimo legno e diafana carta, e produci un isolamento del tutto relativo. Chiunque, da fuori, avverte movimenti, voci, sospiri di coloro che son dentro; una sensibilità più sveglia del solito riesce a ricostruire cogli occhi della mente ogni invisibile evento.
Fosco Maraini
Inizio l’articolo con questa citazione di Fosco Maraini (probabilmente uno dei più attenti e grandi conoscitori della cultura e della società giapponese) perché penso che prima di capire la cerimonia del tè, o meglio il Cha no yu 「茶の湯」(acqua calda per il tè), bisogna capire appieno la realtà giapponese, e non c’è a mio parere modo migliore per comprendere un popolo che partire dalla casa, nucleo primario da cui si sviluppa la società.
Per #LibroGiappone di questo mese abbiamo scelto come libro da leggere e commentare Morte di un Maestro del Tè, di Inoue Yasushi (titolo originale:「本覚坊遺文」- Honkakubō Ibun, Le memorie di Honkakubō). Un libro non di facilissima lettura e probabilmente non adatto a tutti, un testo quasi spirituale, che ci conduce lungo la Via del Tè attraverso le riflessioni del monaco Honkakubō, a servizio di Sen no Rikyū, monaco riformatore della cerimonia del tè, e maestro del tè di Oda Nobunaga, prima e di Toyotomi Hideyoshi, poi.
Nell’opera sono riportate le riflessioni del monaco Honkakubō in forma di diario che copre un lasso temporale che va dal 1603 (12 anni dopo la morte di Rikyū) al 1622, e nel corso del testo ci si interroga più di una volta sui motivi che hanno condotto alla condanna a morte per seppuku di Rikyū da parte di Hideyoshi, e anche sul perché il maestro del tè non tentò neppure di chiedere la grazia. Non ci sono risposte a questi interrogativi, l’unica risposta è quella che troviamo nel tè, continuando a perseguire la sua Via.
Un monaco chiese un giorno al suo maestro: «Poco mi importa di ciò che mi viene riservato: la Via qual è?». Di rimando, immediata fu la risposta: «La Via è la tua vita quotidiana».
Chadō. Lo zen nell’arte del tè. Sen Sōshitsu XV
Penso che per comprendere al meglio questo testo, possa essere utile un breve cenno alla storia del tè in Giappone e all’epoca in cui si muovono i personaggi descritti nella storia: siamo nell’era Sengoku, l’epoca degli stati belligeranti che ha portato numerosi disordini in tutto il Giappone, tra la fine del ‘400 e l’inizio del ‘600, che segna l’inizio dell’epoca Tokugawa e di un lungo periodo di pacificazione all’interno del paese.
Breve storia del tè in Giappone
L’usanza di bere il tè verde in polvere fu introdotta in Giappone nel XII secolo dai monaci che tornavano dalla Cina, dove avevano compiuto gli studi nei più grandi monasteri zen. Il tè nasce appunto in Cina, dove era noto per le sue proprietà terapeutiche e veniva utilizzato dai monaci come sostegno alle estenuanti pratiche meditative dello zazen, in quanto si riteneva fosse in grado di favorire la concentrazione.
La diffusione del tè e del chadō è strettamente connessa con la diffusione del buddhismo zen in Giappone, accolto in pieno dalla classe guerriera dei samurai, in virtù del severo autocontrollo che lo caratterizza, e la cerimonia del tè non fu che un’evidente manifestazione di questa disciplina.
Verso la fine del XV secolo la pratica del tè venne studiata dal monaco Murata Jukō (1422-1502), discepolo del celebre maestro zen Ikkyu (1394-1481). Murata, in contrasto con le grandi sale e gli utensili cinesi usati ai suoi tempi, preferiva offrire il tè in una piccola stanza con un numero ridotto di utensili: il chadō introdotto da lui si fondava sul principio di “leggere il Dharma del Buddha anche nella bevanda del tè”, eliminando ogni ostentazione di ricchezza.
Lo sviluppo della Via del Tè proseguì con Takeno Joo (1502-1555), allievo dei discepoli di Murata Jukō, e con lui nasce lo stile wabi, praticato in una rustica capanna con utensili modesti, ereditando dalla cultura contadina l’usanza di porre il ro (focolare su cui poggia il bollitore dell’acqua) nella stanza della cerimonia. Lo stile wabi fu poi codificato e portato al culmine dal discepolo di Joo, Sen no Rikyū (1521-1591).
Per fare un buon cucchiaio da tè, bisogna tagliare il bambù, ma in modo che non appaia bello. Il contenitore del tè va fatto rozzo. Il suo fondo va tagliato in modo che non risulti lavorato accuratamente.
Sen no Rikyū
Il wabi 侘 di Sen no Rikyū, pur legandosi e derivando dal concetto di yūgen 幽玄, l’incanto sottile, la sensazione di malinconia causata dalla presenza di due elementi (come un terzo colore indefinibile che si ottenga sovrapponendo due colori diversi), introduce un qualcosa di rivoluzionario: la povertà ricercata e il rifiuto dell’ostentazione. La ricerca di uno stile semplice ed essenziale, che si riflette nella stessa stanza del tè, chashitsu: una dimora priva di attaccamenti terreni, una “dimora del vuoto”.
Tutti gli oggetti occorrenti per il wabicha, compresa la stanza del tè, possono pertanto apparire miseri e piccoli, agli occhi dei non iniziati, privi di alcun valore, ma è proprio nella negazione che si nasconde il valore positivo, che va percepito con la mente, e non colto visivamente. È nell’apprezzare questo valore nato dalla negazione che giace lo spirito del wabicha, chiamato da Rikyū wakei seijaku「和敬静寂」 in cui si identificano i quattro principi fondamentali del chadō : armonia (和), rispetto (敬), purezza (静), serenità (寂).
L’armonia (wa) è il risultato dell’influenza reciproca tra ospite e invitato, del cibo servito e degli oggetti scelti secondo il ritmo fluttuante della natura.
Il rispetto (kei) è la sincerità dell’animo che ci permette di avere un rapporto aperto con l’ambiente circostante, con i nostri simili e con la natura, spingendoci a sentire profondamente il cuore delle persone che incontriamo e l’essenza delle cose che ci circondano.
La purezza (sei), il semplice atto di pulire, ha un ruolo importante in una riunione del Tè, nei preparativi e nel rimettere in ordine gli oggetti. Semplici gesti, come togliere la polvere dalla stanza e liberare il sentiero del giardino dalle foglie morte, rappresentano l’atto di allontanare i vincoli mondani dal proprio animo e dalla propria mente. Solo dopo essersi affrancati dalle preoccupazioni materiali, persone e cose possono essere percepite nella loro essenza più veritiera.
La serenità (jaku) sopraggiunge con la pratica costante dei tre primi principi di armonia, rispetto e purezza nella vita quotidiana. Seduto lontano dal mondo, in armonia con i ritmi della natura, liberato dai vincoli del mondo materiale e sensibile all’essenza di ciò che lo circonda, colui che prepara e beve il tè in contemplazione si avvicina a uno stadio sublime di serenità.
Sen no Rikyū non fu soltanto maestro del tè di Toyotomi Hideyoshi, appassionato estimatore dell’arte del tè, ma suo consigliere fidato. Ancora oggi non si sa quali siano i motivi che portarono i due in contrasto, alcune delle ragioni più note sono quelle evidenziate anche nel testo (il profitto tratto dalla vendita a caro prezzo degli utensili da tè, la realizzazione di una statua rappresentante il maestro all’ingresso del Daitoku-ji); probabilmente i due entrarono in conflitto per la spedizione militare in Corea, fortemente voluta da Hideyoshi e, sembra, contrastata da Rikyū.
Comunque, a un certo punto il conflitto giunse al suo epilogo: Toyotomi ordinò a Rikyū di eseguire il seppuku, forse sperando in un cedimento dell’altro. Ma Rikyū non cedette e dopo aver offerto a Toyotomi per l’ultima volta il tè nella sua spoglia ed essenziale chashitsu, si suicidò.
Il cuore della cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l’acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione.
Sen no Rikyū
Profilo storico: dal medioevo all’epoca pre-moderna
Provo ora a darvi velocemente un’idea dello sfondo sociale e storico su cui nasce e si sviluppa il chadō; ovviamente non posso trattare l’argomento in maniera esaustiva come meriterebbe, cerco quindi di riassumere l’essenziale.
Dopo i fasti di corte dell’epoca Heian (794-1185), non soltanto il potere socio-politico, ma anche la maggior parte degli aspetti culturali passano di fatto nelle mani della classe dei guerrieri (bushi, o più comunemente samurai). E se agli inizi i bushi non potevano certo definirsi all’altezza di ereditare la tradizione della cultura di corte Heian, che aveva raggiunto il suo apice di eleganza e raffinatezza, con l’inizio dell’epoca Muromachi (1336-1573), sotto lo shogunato degli Ashikaga, si assiste a un rifiorire di arti e tradizioni, grazie all’opera di mecenatismo di Ashikaga Yoshimitsu e Yoshimasa.
È in questo periodo, uno dei più ricchi culturalmente, che si assiste alla nascita di molte delle arti tradizionali ancora oggi così apprezzate in Giappone e all’estero (teatro Noh e Kyogen, cerimonia del tè, ikebana, l’arte dei giardini zen).
Le due fasi culminanti della cultura pre-moderna vengono distinte in cultura Kitayama e cultura Higashiyama, i cui nomi derivano dalle zone di Kyoto, e dai due edifici-simbolo, da cui si svilupparono l’arte e la cultura del tempo: stiamo parlando del Padiglione d’oro, costruito da Yoshimitsu a Kitayama, e del Padiglione d’argento, realizzato da Yoshimasa a Higashiyama. E quest’ultima fu la cultura maggiormente influenzata dallo zen, e a cui si fa risalire la nascita della cerimonia del tè.
Nonostante l’importanza rivestita dagli Ashikaga nello sviluppo delle arti, essi non furono in grado di mantenere l’ordine nel paese, che fu più che mai diviso e sottoposto a diverse guerre e lotte di potere. Il periodo Sengoku (1478-1605), si apre con la guerra di Onin, combattuta sia dentro che intorno alla città di Kyoto e che di fatto condusse alla rovina la città e portò alla disfatta degli Ashikaga. Ci furono una serie di rivolte da parte dei daimyo, ognuno dei quali, ormai fuori dal controllo dello shogunato, fondò un proprio Stato in guerra con tutti gli altri e armato con un proprio esercito. Si trattò di uno dei periodi più cruenti e brutali della storia giapponese, che portò a una divisione totale e a continui disordini nel paese.
Questo fino all’opera di unificazione del paese portata avanti da tre importanti militari: Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e Tokugawa Ieyasu.
Oda Nobunaga (1534-1582) fu colui che eliminò il bakufu Muromachi (il governo militare degli Ashikaga) nel 1573 e che arrivò a controllare gran parte dei territori giapponesi a seguito di numerose battaglie sanguinolente.
Toyotomi Hideyoshi (1536-1598), di umili origini, fu suddito di Nobunaga, che diventò rapidamente uno dei suoi principali generali facendosi notare per le sue abilità di guerriero e che infine gli successe nell’opera di unificazione da lui iniziata. Nel 1590 riuscì a imporre la propria autorità su tutti i daimyo belligeranti; nel 1592 iniziò l’invasione della Corea.
Alla sua morte nel 1598 sorse uno scontro per la lotta alla successione tra Tokugawa Ieyasu e Ishida Mitsunari, che sfociò nella battaglia di Sekigahara (1600) e porto alla vittoria di Ieyasu, che instaurò il suo bakufu a Edo nel 1603, garantendo un lungo periodo di pace al paese.
Fonti consultate:
- Chado: lo zen nell’arte del tè. Soshitsu Sen XV
- Il Giappone e la sua civiltà: profilo storico. Toshiaki Takeshita
Gentile Daniela,
il chado è una mia fissazione da qualche anno, so che qui a Roma c’è una delle sedi della scuola Urasenke, tuttavia in rete ho trovato pochissimi riferimenti e solo occasionalmente ho potuto assistere ad una vera cerimonia, grazie all’Istituto Giapponese di Cultura ed al MAXXI, lo scorso anno. Le volte in cui sono stata in Giappone non ho mancato mai l’occasione di gustare una tazza di matcha con accompagnamento di dolcino (adoro i wagashi!!!), ma adorerei seguire dei corsi seri…tu no?
Ciao Barbara, in Giappone avevo seguito un breve seminario sulla cerimonia del tè, ed è un mondo che mi affascina e che vorrei in effetti approfondire meglio. A Roma l’unica sede di riferimento è il centro Urasenke, ma in effetti non è semplice da contattare. Loro organizzano corsi e una volta mese è possibile assistere a una cerimonia del tè. Non hanno un sito Internet, rispondono solo al telefono (e neanche sempre). Anche io non sono mai riuscita a contattarli in effetti, ma spero di riuscirci ad andare presto. A presto! 🙂
Gentile Daniela, molto interessante il suo articolo chissà se mi può aiutare: sto editando un libro in cui c’è un po’ di confusione coi termini. Cha no yu non capisco se significhi “via del te” o “acqua calda per il tè”. Lei potrebbe aiutarmi ? La ringrazio molto
Ciao Andrea, in realtà il significato letterale di “cha no yu” è acqua calda per il tè, la via del tè si traduce solitamente con chadō, ma essenzialmente con entrambi i termini ci si riferisce comunemente alla cerimonia (o via) del tè.
Grazie mille, sei stata davvero gentilissima!