Una mattina di 73 anni fa il paese è ancora in guerra, la città si sveglia, e gli uomini e le donne si preparano ad affrontare un’altra dura giornata, uguale a tutte le altre.
All’improvviso un lampo accecante e niente è più come prima: la città in un attimo si dissolve, case e palazzi vengono spazzate via, persone bruciate, fiamme che divampano in tutta la città. I sopravvissuti urlano la loro disperazione e il loro dolore, la sete li divora, la pelle squarciata brucia. E chi non ha riportato lesioni gravi nell’immediato, vivrà con l’incubo delle radiazioni.
Il 6 agosto del 1945 su Hiroshima veniva sganciata la prima bomba atomica della storia. Solo 3 giorni dopo lo stesso destino subirà la città di Nagasaki. Dicono che in questo modo si è giunti a una conclusione più rapida della guerra, evitando così uno strascico lungo e doloroso che avrebbe provocato ancora più morti. Io non so se le cose stiano realmente così, non sono uno storico e le faccende e strategie militari non mi appartengono, penso solo a quanti quel giorno si sono alzati dal letto pronti a vivere le loro vite, inconsapevoli di quanto queste sarebbero state sconvolte, delle sofferenze che avrebbero patito di lì a poco.
Chiunque abbia visitato Hiroshima sa che oggi la città è rinata, è un luogo tranquillo in cui potersi godere una bella passeggiata, una città viva e che continua a vivere, risorta da quelle macerie di cui quasi non vi è traccia, cicatrici che per quanto nascoste sono lì, a eterna memoria delle atrocità della guerra.
Chi segue questo blog da un po’ sa che la questione bomba atomica mi sta molto a cuore, ho dedicato la mia tesi di laurea a questo e anche alcuni articoli sul sito, pubblicando alcuni estratti di poesie di Kurihara Sadako, una poetessa sconosciuta qui da noi, una hibakusha che nelle sue poesie ha parlato dell’orrore vissuto da Hiroshima e dai suoi abitanti. Ma prima ancora di questo è stata un’antimilitarista e pacifista convinta, una donna che nonostante quello che ha vissuto non ha mai perso la sua lucida capacità di analisi, che l’ha portata a riconoscere e non scordare mai le responsabilità del suo paese durante la guerra, come in una poesia che ho già citato in passato: Quando dici Hiroshima, in cui Hiroshima smette i panni della vittima, della città martoriata e ridotta in cenere, e tramite una sineddoche rappresenta il Giappone militarista e aggressore dei paesi dell’Asia, brutalmente violentati. Le poesie scritte tra il 1964 e il 1975 sono critiche aspre alla ricostruzione e alla realizzazione del parco della Pace, mentre quelle dell’immediato post-bombardamento sono crude descrizioni degli effetti del bombardamento atomico sugli uomini e sulla città, in cui non c’è spazio per messaggi di speranza o di una futura rinascita, solo la descrizione di quanto accaduto e l’amara constatazione degli effetti della distruzione, dei corpi carbonizzati, dei cadaveri affastellati lungo gli argini dei fiumi, Hiroshima ridotta a un cumulo di macerie.
Macerie
(Kurihara Sadako, Hiroshima 1913-2005)
Non c’è più nulla,
non c’è più nulla.
Anziani e bambini bruciati vivi,
Hiroshima – spazzata via
come una cavità oculare senza più bulbo.
Ossa bianche sparse sulle macerie rossastre,
dall’alto, il sole batte a picco
sulla città delle rovine, ove regna il silenzio.
Guarda: sulle mie spalle e sulle mie maniche
brulicano sciami compatti di mosche nere!
Mosche attaccate alle macerie,
larve bianche, si moltiplicano sulla carne in putrefazione,
nelle budella melmose dei nostri morti
e si ingrossano, aspirando il sangue purulento.
…
Sono passati sette anni:
le mosche continuano a ronzare,
diffondono batteri invisibili.
Dal giorno in cui il vento dell’esplosione ci colpì
così forte da spazzare via la Terra,
non è rimasto nulla di questa città.
Il mondo è furioso tanto da esplodere,
ma gli uomini di questa città restano in silenzio,
come le macerie, in quel momento.
[Traduzione mia]