Dopo l’articolo pubblicato da Fabiana, dedicato alle parole sessiste nella lingua giapponese (se non l’hai letto, lo trovi qui. A breve troverai anche la seconda parte), ho pensato che sarebbe stato interessante analizzare la questione femminile in Giappone anche sotto altri aspetti.
Il punto è che mi piacerebbe riuscire a creare un percorso di maggiore consapevolezza sulla questione donne in Giappone, un argomento spinoso e non semplice da trattare, e che può facilmente innestare polemiche e fraintendimenti. Ma prima di buttarmi sul “sociale”, diciamo, ho deciso di affidarmi ai miei amati libri, con un primo e per quanto possibile “rapido” excursus sulla letteratura femminile in Giappone moderna e contemporanea. Anche perché è evidente che una buona parte della questione femminile passa anche attraverso la voce di intellettuali e scrittrici.
Più avanti mi piacerebbe trattare nello specifico anche autrici e romanzi, nonché altri aspetti legati sempre alla questione femminile, ma un passo alla volta.
Oggi intanto mi piacerebbe vedere quando nasce il concetto di “letteratura femminile” in Giappone, e in che modo si sviluppa, partendo da un periodo che vede le prime pioniere della letteratura moderna, a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio XX secolo.
Come prima cosa va ricordato, come sottolinea Paola Scrolavezza ne La narrativa giapponese moderna e contemporanea, che le donne hanno da sempre avuto un ruolo centrale nella storia della letteratura giapponese: basti semplicemente citare la letteratura di corte dell’epoca Heian (794-1186), con i suoi monogatari (tra cui Storia di Genji, il principe splendente, di Murasaki Shikibu, considerato il primo romanzo della storia) e i suoi diari di corte (come non ricordare Note del Guanciale, di Sei Shōnagon).
Le autrici giapponesi vantano dunque il più antico referente nella storia della letteratura femminile nel mondo, e si sono ritrovate eredi di un patrimonio letterario troppo importante e prezioso, inoltre le limitazioni e i cambiamenti avvenuti nel corso dei secoli, hanno inibito lo sviluppo della scrittura femminile, che dopo questo periodo d’oro si è di fatto interrotta, fino alle soglie del XX secolo, con la modernizzazione Meiji (1868-1912).
Le donne in Giappone hanno dovuto affrancarsi dalle influenze del linguaggio classico e dagli argomenti ritenuti “adatti” alle donne, responsabili del concetto restrittivo che pone la letteratura scritta da donne come un genere a sé, il termine joryū 「女流」che designa lo “stile femminile”, che si ritiene caratterizzi tutte le opere scritte da donne e che rientrano nell’ambito della cosiddetta “letteratura in stile femminile” joryūbungaku 「女流文学」. Un concetto che di fatto relega la letteratura scritta da donne ai margini rispetto al bundan, il mondo letterario giapponese, e che annulla ogni differenza di stile o racconto: la letteratura femminile viene considerata una corrente a sé, accomunata dal mero appartenere allo stesso genere.
Ed è paradossale il fatto che il Giappone, che nasce come una società matriarcale, con il mito della dea del sole Amaterasu Ōmikami, con una letteratura di corte nata di fatto dalle donne, che hanno avuto un ruolo determinante nello sviluppo della lingua giapponese, grazie all’utilizzo del sillabario (i kana) che riproduceva foneticamente gli ideogrammi cinesi, le ha poi tagliate fuori dal mondo per secoli, fino a quando con la Restaurazione Meiji giungono i primi cambiamenti concernenti il loro status.
L’epoca Meiji in Giappone ha costituito un’epoca di radicali cambiamenti e modernizzazione del paese: questo ha portato a una migliore scolarizzazione e a un generale innalzamento del livello di istruzione fin dai primi anni del Novecento, e ci fu un’attenzione specifica verso il ruolo delle donne all’interno del processo di sviluppo del paese. Il modello a cui attenersi era quello della “buona moglie, madre saggia” (ryōsai kenbo): la popolazione femminile doveva prendere parte al processo di modernizzazione e sviluppo del Giappone attraverso la cura domestica e l’educazione dei figli, come vero e proprio dovere “patriottico”.
Tuttavia, sotto la spinta della modernizzazione di stampo occidentale, ci si rese conto della necessità di una riforma del sistema scolastico che includesse anche le donne: con la legge sull’Istruzione del 1872 viene contemplata per la prima volta l’apertura di scuole pubbliche femminili; e con il Rescritto Imperiale dell’Educazione del 1890 venne sancita l’istituzione di una scuola superiore femminile in ogni prefettura del paese. A partire dal 1915, le donne saranno ammesse all’Università.
Gli effetti di queste riforme si vedranno qualche anno dopo, quando con l’epoca di democratizzazione Taishō (1912-1927) sempre più donne sono istruite, in grado di leggere giornali e opere letterarie, e soprattutto aumenta il numero di donne lavoratrici.
Nel 1923 si calcola che a Tokyo ci fossero oltre 20 000 donne impegnate in attività lavorative (dattilografe, impiegate, commesse, insegnanti).
La letteratura femminile in epoca Meiji (1868-1912) e Taishō (1912-1927)
La letteratura femminile di epoca Meiji ha come simbolo di riferimento Higuchi Ichiyō (1872-1896), ricordata come una delle più importanti scrittrici del periodo Meiji e prima donna giapponese dei tempi moderni ad essere riconosciuta come scrittrice di primo piano; un’altra fondamentale rappresentante della letteratura Meiji è la poetessa Yosano Akiko (1878-1942), una delle prime femministe del Giappone.
Il Giappone era sì diventato un paese moderno grazie alle numerose riforme di questi anni, ma per le donne che di fatto non godevano di diritti civili, rimaneva comunque un paese socialmente arretrato.
Le opere di Higuchi Ichiyō sono ricche di elementi legati al clima di rinnovamento del periodo, e sollevano una voce contraria, seppur forse ancora flebile, a questa società. Figlia di un ex samurai, Higuchi ha ricevuto un’educazione fuori dal comune, potendo studiare poesia classica in una scuola privata (questa sua educazione classica si riflesse nello stile della sua prosa). Con la morte del padre, e il peggioramento delle condizioni economiche della famiglia, Higuchi, a seguito anche del successo del romanzo Yabu no Uguisu, scritto dalla compagna di classe Miyake Kaho, che fu il primo romanzo di fiction scritto da una donna ad essere pubblicato da una casa editrice (1888), decise di intraprendere la carriera di scrittrice, con cui si guadagnò da vivere.
Higuchi con la sua famiglia viveva in una zona popolare di Tokyo, ai confini del quartiere di Yoshiwara, il quartiere dei piaceri: e proprio le strade e gli abitanti del quartiere diventarono l’ambientazione principale dei suoi racconti, descritti con dovizia di particolari e grande sensibilità.
Le sue opere si concentrano su donne le cui vite sono colme di dolore e che sono rassegnate ad accettare questo come il loro destino: le sue sono storie colme di pessimismo e prive di idee significative riguardo la vita delle donne e il loro ruolo nella società: il mondo fittizio di Higuchi è basato su una visione del mondo rigidamente organizzato secondo la tradizione morale e l’ideologia confuciana. Le sue eroine non criticano apertamente la loro controparte maschile e non esprimono idee radicali; tuttavia i suoi racconti sono senz’altro rappresentativi dei suoi tempi. Solo con le ultime sue opere, Wakaremichi (Strade divise) e Ware kara (D’ora in poi), appaiono personaggi femminili meno remissivi, simbolo di una critica aperta alla morale sessista.
A questa primissima fase di rinascita della letteratura femminile, seguirà qualche anno dopo, nel 1911 la fondazione di una rivista fondamentale nella storia del femminismo giapponese: Seitō (Calze blu), che avrebbe giocato un ruolo fondamentale nell’analisi della questione femminile e nello sviluppo del femminismo in Giappone. Il nome scelto era la traduzione di Blue Stocking, il circolo londinese fondata nel 1750 da Elisabeth Montagu: calze blu che divennero il simbolo della donna emancipata.
La rivista fu diretta fino al 1914 da Hiratsuka Raichō (1886-1971) una delle fondatrici della rivista, proveniente da una famiglia illuminata e che aveva potuto ricevere un’educazione classica. Tutto il gruppo di donne intorno a Seitō aspirava a un vita diversa, che permettesse loro di essere libere, e nei numeri della rivista si affrontavano diverse tematiche, prostituzione, matrimoni combinati, disoccupazione, indipendenza dalla famiglia.
Il primo numero della rivista si aprì col saggio Genshi josei wa taiyō de atta (“In principio la donna era il sole”), una provocazione in cui si cercava di evidenziare quanto le donne fossero ancora costrette a un ruolo di sottomissione all’autorità patriarcale. A quel numero partecipò anche Yosano Akiko con la poesia Sozorogoto, i cui versi iniziali recitano: “È giunto il giorno in cui le montagne si muoveranno” (Yama no ugoku hi ni kitaru).
La direzione della rivista nel 1915 passa a Itō Noe, che porterà avanti la rivista fino a febbraio del 1916, quando verrà pubblicato l’ultimo numero.
Con gli anni Venti, in piena epoca Taishō (1912-1927), si assiste a una sorta di rinascita della letteratura delle donne, con quella che viene definita la “terza generazione” di scrittrici moderne, come Hayashi Fumiko, Hirabayashi Taiko, Miyamoto Yuriko. C’è una maggiore consapevolezza da parte di queste autrici, e anche un maggiore impegno politico: ora le protagoniste delle loro storie non sono più rassegnate e passive, bensì sono donne pronte a lottare per riscattarsi dalle situazioni difficili in cui si trovano a vivere.
Sono gli anni delle mogā, le modern girls, giovani donne alla moda, libere ed emancipate. Le ragazze moderne vivono in città, lavorano e sono indipendenti sia economicamente che emotivamente, non disdegnando avventure casuali.
Sono la rappresentazione dell’epoca Taishō, una breve parentesi di democrazia che ha rappresentato un momento di libertà e vivacità culturale, prima del nazionalismo e della militarizzazione degli anni Trenta.
Hayashi Fumiko (1903-1951), di origine proletaria, fu l’unica a raggiungere il successo ancora in vita, e attirò l’attenzione del pubblico grazie alle sue opere in cui denuncia la piaga della povertà e le difficoltà delle donne che lavorano, ponendo l’attenzione su quelle zone marginali della società che lei stessa conosceva molto bene. I suoi ritratti vividi e realistici della vita della gente comune trovavano il favore di un’ampia fascia di pubblico.
Hayashi sicuramente deve il suo successo all’immediatezza della sua scrittura, ma non va sottovalutato il fatto che molti suoi lettori erano attirati dalla sua vita privata controversa, che lei stessa ha sempre abbastanza ostentato nella sua scrittura, mischiando sapientemente fatti realmente accaduti con la fiction.
Il suo primo successo è costituito da Hōrōki (Diario di una vagabonda), pubblicato a puntate già a partire dal 1929. Il libro racconta la vita di una giovane donna che vive in condizioni di povertà svolgendo una miriade di lavori. Un’opera modernista, in cui si narra in prima persona il pellegrinaggio della protagonista attraverso la città di Tokyo, e in cui la sua stessa identità può essere sovrapposta da diversi e nuovi ruoli, legati all’amore e al lavoro.
Tra le autrici degli anni Trenta, segnalo inoltre Okamoto Kanoko (1889-1939), scrittrice, poetessa di tanka (ispirata da Yosano Akiko) e studiosa di buddismo, di cui è stata recentemente pubblicata una raccolta di tre racconti, Frotte di pesci rossi (che abbiamo commentato per il nostro bookclub #LibroGiappone). Okamoto è perfettamente inserita in questo contesto storico, nelle sue storie infatti, le protagoniste femminili sono donne moderne, che cercano in qualche modo la loro indipendenza e libertà.
Okamoto inoltre ha collaborato alla rivista Seitō, anche se nella realtà non ha mai mostrato un reale interesse verso il movimento per l’emancipazione femminile, forse per via dei suoi rapporti complicati con le altre donne.
Con lo scoppio della guerra e l’ondata di nazionalismo breve fase di liberalismo e di attenzione alla questione femminile si interrompe bruscamente. Bisognerà attendere nuovamente il dopoguerra e soprattutto il boom della letteratura femminile degli anni Sessanta/Settanta.
Letture consigliate:
Higuchi Ichiyō, Acque Torbide (Nigorie), traduzione P. Villani, A. Azuma, Edizioni Jouvenance.
Higuchi Ichiyō, L’ultimo dell’anno e altri racconti, traduzione Gala Maria Follaco, Aracne Editrice.
Yosano Akiko, Midaregami, traduzione L. Capponcelli, Aracne Editrice.
Pagine Meiji (1868-1912), a cura di T. Ciapparoni La Rocca, Bulzoni Editore (vi segnalo in particolare i saggi “Ritratto di Higuchi Ichiyō”; “La penombra della modernizzazione: Miyake Kaho, Nakajima Shōen, Shimizu Shikin, Kimura Akebono, Wakamatsu Shizuko”; “Yosano Akiko: le circostanze, la poesia, l’impegno”.)
Hayashi Fumiko, Lampi, traduzione P. Scrolavezza, Marsilio Editore.
Okamoto Kanoko, Frotte di pesci rossi, traduzione F. Yuko, Edizioni Lindau.