Donne e Giappone: parole sessiste nella lingua giapponese (2° parte)

Una nuova puntata sul tema dell’ultimo articolo dedicato alle parole sessiste nella lingua giapponese (qui trovi la 1° parte), nella quale, salendo di complessità nelle strutture della lingua, prenderemo in considerazione parole composte da più segni (熟語 jūkugo) dove, come in un rebus, il contenuto discriminatorio o lo stereotipo proviene dall’unione dei due segni.

Infine vedremo alcuni proverbi, frasi che ormai sono modi di dire idiomatici ma portatori di una precisa visione nei confronti di quello che doveva o non poteva essere una donna. Dato il significato esplicitamente discriminatorio sono anche le espressioni che più sono riconosciute come da evitare nella lingua contemporanea.  

PAROLE COMPOSTE

「家内」 Kanai


Il segno per “casa” accanto a quello per “interno” : sembrerebbe una battuta ma “dentro casa”, lettura kanai, è una delle parole utilizzate per indicare la propria moglie. “Casa” è da intendersi sia come luogo fisico ma soprattutto come “famiglia, focolare domestico” con a capo il marito.

Per contro, come sicuramente saprete, chiamare il proprio marito in giapponese è ancora oggi 旦那さん Dannasan, l’ “onorevole signor padrone”.

 

「未亡人」 Mibōjin


Un’altra parola che non può mancare in questa raccolta è  未亡人 Mibōjin dove leggiamo di seguito i caratteri per “incompiuto” , “defunto” e “persona” .  

Questo “individuo non ancora morto” non è altri che donna che ha perso il marito, una vedova che trova legato il suo destino, almeno linguisticamente, a quello del coniuge.

 

「女々しい」 Memeshii


Il kanji raddoppiato quasi a voler rendere ancora più marcato tutto il fardello di caratteristiche dell’essere donna assieme al suffisso tipico degli aggettivi: ecco memeshii, la parola per connotare qualcuno di “debole”, “effemminato” o “smidollato”.

 

「女だてらに」 Onnadatera ni


Questa e la prossima parola si rivolgono invece alle eccezioni, ovvero quando la donna si comporta in un modo non conforme a quei confini posti dalla cultura tradizionale. Parliamo di donne “energiche e vigorose”, contrapposte all’ideale che secoli di tradizione vorrebbe deboli e relegate in casa.

Onnadatera ni si rivolge a donne che per aspetto, comportamento o ruolo sociale si avvicinano a quello che dovrebbe essere un uomo: “nonostante sia una donna, riesce/possiede/si comporta…” diremmo in italiano.

La curiosità è che il suffisso –datera ni si usa solo con la parola onna mentre, volendola convertire per maschi che non hanno comportamenti “da uomini”, non è possibile fare lo stesso.

Otokodatera ni infatti non è una forma accettata mentre più comune è usare la costruzione con “kuse ni” come in  男のくせに、お酒が飲めない otoko no kuse ni, o sake ga nomenai (Nonostante sia un uomo, non regge l’alcool).

Kuse letteralmente significa “vizio, difetto” e solo da questo capiamo come per uomo che si “avvicina” a comportamenti femminili la valutazione sia tutt’altro che positiva.

 

「男勝り」  Otokomasari


Altra parola riferita ad una donna considerata “sui generis”: interpretando letteralmente i kanji leggiamo, “(donna che) supera l’uomo”.

男勝りな女性 Otokomasari na joosei è infatti colei che riesce a tener testa agli uomini, che dimostra caparbietà e risolutezza fino ad acquisire tratti tipicamente mascolini.

Una precisa tipologia di personalità schietta e indipendente una volta temuta e biasimata (noi diremmo cosa? Una virago?) ma che ultimamente riscontra molto successo come ideale di compagna e/o collega, forse perché lontano dall’ideale tradizionale della donna kawaii, dolce ma incapace e dipendente.  

Se riuscite a leggere in giapponese, troverete prova di quanto dico in articoli come questo, questo o questo, sugli atteggiamenti tipici di una otokomasari.


PROVERBI  

In ultimo, ecco alcune espressioni idiomatiche ormai (per fortuna!) non più di comune uso ma utili nel fornire indizi sul ruolo della donna cristallizzato in secoli di cultura tradizionale.

Vediamone alcuni esempi:

「才色兼備」 Saishokuken’bi


Quattro caratteri per riferirsi ad una donna veramente eccezionale poiché allo stesso tempo “intelligente e bellissima”, quasi come se le due caratteristiche non potessero coesistere.

sai sta infatti per “talento” , shoku per “aspetto” mentre 兼備 ken’bi    “avere a disposizione insieme” .

「夫唱婦随」 Fūshoofuzui


Uno yojijukugo (modo di dire composto da quattro caratteri) di origine cinese sulla divisione, ora discutibili, dei ruoli all’interno di una coppia.

Leggendo i caratteri uno per uno infatti vediamo che il marito “dà le indicazioni” (tona-eru oppure SHŪ) e la moglie “segue” (shitaga-u o zui): mettendo insieme i pezzi leggiamo che “Il marito predica, mentre la donna asseconda.

 

「男は度胸、女は愛嬌」 Otoko wa dokyō, onna wa aikyō


Un proverbio antico e conosciuto per illustrare sinteticamente cosa, secondo la tradizione, sarebbero i comportamenti più consoni dell’essere uomo o donna.

Per un uomo è essenziale non manchi di 度胸 dokyō (il primo kanji da solo significa “livello, grado”, il secondo “torace”) ovvero di “coraggio, impavidità” mentre per la donna l’essenziale è dimostrare 愛嬌 aikyō (il primo kanji è “amore”, secondo sta per “gentilezza”) ovvero “dimostrarsi sorridente, pacata e amabile”.

 

「職場の花」 Shokuba no hana


Chiudiamo con un modo di dire più recente, nato nella seconda metà del secolo scorso, anni della grande crescita economica giapponese e del consolidarsi della presenza femminile negli uffici.

La donna viene però confinata a ruoli marginali con le cosiddette OL Office Lady, sceglie lavori temporanei in attesa di fare figli e dedicarsi completamente alla famiglia (腰掛け仕事, koshikake shigoto, letteralmente “lavoro che serve per appoggiare le gambe”) e comunemente viene definita 職場の花 shokuba no hana, il “fiore dell’ufficio” perché decorativo, piacevole a vedersi ma utile come una pianta ornamentale.

La gravità e il potere discriminatorio di tali espressioni è talmente forte da essere oggetto di ampia critica nel corso degli anni, fino a che il loro uso ripetuto durante il lavoro è stato riconosciuto pari ad un atto di mobbing e/o abuso, come espresso anche in questo report dell’Università Ritsumeikan di Kyoto.


Siete rimasti stupiti o già eravate perfettamente al corrente delle lenti che una lingua ci pone rispetto ad una visione del mondo? Spero di avervi mostrato come la parità di diritti tra i sessi non sia solamente fatta di proclami ma passi dalle basi di una corretta comunicazione che sorpassi i tradizionali ruoli di genere.

La scelta di non veicolare messaggi sessisti attraverso la lingua che parliamo rimane comunque nostra.

Fabiana

100% made in Umbria, ora di casa a Milano, dal 2004 che studio, parlo e qualche volta traduco giapponese.Ho un PhD in linguistica del quale vado fiera e, se volete farmi felice, chiedetemi di spiegare come ogni lingua interpreti il mondo.

1 Comment
  1. Un articolo molto interessante.
    Sono stato in Giappone qualche anno fa: pur avendo viaggiato in diverse parti del mondo, è stato paradossalmente il luogo più esotico sotto il profilo culturale che abbia mai visto.

    Approfitto della tua competenza per chiederti lumi su quanto ho appreso da una guida di Tokyo a cui avevo chiesto come sia possibile conoscere il suono di un ideogramma in cui ci si imbattesse per la prima volta (scusami per eventuali e probabili imprecisioni lessicali)

    Insomma, in parole semplici: se un bambino giapponese di otto anni studiasse il feudalesimo, potrebbe apprenderne il concetto ma non saprebbe pronunciare il suono del relativo ideogramma fino a che non lo avrà udito da qualcun altro: e’ cosi?

    Inoltre, e’ vero che la parola “apprendista” viene descritta da un ideogramma che rappresenta una persona che “viene dopo”, mentre il maestro o insegnante e’ “colui che viene prima”?

    In caso affermativo mi pare una circostanza che tradisce la forte vena conservatrice del Giappone.

    Forse ho detto solo delle sciocchezze: sono stato un turista che ha cercato di fare il viaggiatore. E’ per questo che ti scrivo.

    Grazie in anticipo per la risposta

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