“Quella non era una scuola, ma una specie di laboratorio, un centro di smistamento. Non eravamo molto diversi da cani, mucche e maiali: tutti, esseri umani e animali […] potevamo divertirci e giocare fintantoché eravamo piccoli, ma poi, poco prima di raggiungere la maturità, venivamo selezionati e classificati. Essere un liceale costituiva il primo passo verso la metamorfosi in animale domestico.”
La lotta politica, l’adolescenza, il rock e il cinema sperimentale. L’epopea di una generazione raccontata da 69. Sixty-nine, romanzo del 1987 di Ryū Murakami, edito da Atmosphere Libri e tradotto da Gianluca Coci, oggetto del nostro bookclub #LibroGiappone del mese di luglio (trovate tutti gli altri post dedicati a #LibroGiappone qui, potete seguirci anche su Instagram).
L’altro Murakami, quello meno conosciuto al di fuori dei confini nazionali, quello più scabroso e difficile da leggere, così poco conosciuto in Italia, mostra in questo romanzo un aspetto inedito della sua opera, decisamente più leggera e scanzonata, rispetto alle atmosfere cupe e torbide di Blu quasi trasparente, romanzo d’esordio che gli valse il premio Akutagawa o Tokyo Soup, entrambi pubblicati in italiano diversi anni fa e ad oggi quasi introvabili.
Il Sessantotto in Giappone
Forse può sembrare strano, e sicuramente rispetto all’eco che il movimento del Sessantotto ha avuto in Italia, in Francia e diciamo in generale in Europa, qui i suoi effetti sono stati meno evidenti, ma anche il Giappone in quegli anni ha vissuto l’epoca delle rivolte studentesche, le contestazioni e gli scontri tra polizia e studenti, mossi spesso da un forte sentimento anti-americano.
La storia di 69. Sixty-nine ruota attorno a un gruppo di studenti all’ultimo anno di liceo, il cui protagonista è Ken, evidente alter ego dell’autore. Si percepisce chiaramente la forte componente autobiografica del romanzo (presente anche in Blu quasi trasparente), che si svolge nel Kyūshū, mostrandoci quindi un Giappone più periferico, lontano dai fasti e dalle esagerazioni di Tokyo. Murakami stesso è originario del Kyūshū, della città di Sasebo, dove si trova una base navale americana che in un modo o in un altro influenza le vite dei protagonisti della storia.
Il diciassettenne Yazaki Ken, appassionato di musica rock e cinema sperimentale, ribelle e beffardo, sull’onda dei moti studenteschi di quegli anni di cui sono arrivati gli echi anche nel Kyūshū, si mette in testa di organizzare insieme ai suoi compagni le barricate a scuola e poi un festival di musica, teatro e cinema, portando in questo modo una ventata di novità e vitalità in questa cittadina di provincia ai margini.
La musica rock, le contestazioni, la guerra in Vietnam, ma anche il sesso e gli stravolgimenti ormonali dell’adolescenza sono assoluti protagonisti delle giornate di Ken e dei suoi amici, e nonostante l’apparente “impegno politico”, tutto alla fine sembra ricondursi alla semplice voglia di far casino e far colpo sulle ragazze, in un mood tipicamente adolescenziale.
Sicuramente uno degli aspetti preponderanti di questo romanzo, come si evince dai titoli dei capitoli, e che ci dà chiara la misura di cosa hanno rappresentato quegli anni, è l’importanza data alla cultura rock, alla musica di origine anglosassone, il rock prima, il punk poi, che ha costituito un’importante influenza per gli autori di quel periodo, diventando in questo modo parte integrante della letteratura degli anni Settanta in Giappone (in tal senso, è molto interessante la postfazione di Gianluca Coci).
L’immaginazione al Potere!
Un aspetto che mi ha particolarmente colpito è la forte critica al sistema scolastico giapponese, autoritario e repressivo, che sembra destinato alla mera produzione di automi, una sorta di catena di montaggio in cui non c’è spazio per le proprie aspirazioni e passioni, ma si è semplicemente destinati ad essere parte di un meccanismo.
Le cose non sembrano essere molto cambiate da allora, il Giappone su molti aspetti rimane un paese estremamente conservatore e restio al cambiamento, in cui è è particolarmente difficile uscire fuori dagli standard. Un romanzo così rappresenta da questo punto di vista una vera “scossa”, un modo per dire che ci si può ribellare agli schemi, protestare e lottare per quello che si ritiene giusto, un messaggio che forse da noi può sembrare piuttosto banale, ma che in una realtà come quella giapponese è quasi sacrilego.
E tuttavia, il tono del romanzo riesce sempre a mantenersi leggero e scanzonato, rendendo la lettura molto scorrevole e divertente. Lo stile di Murakami è carico di ironia e voglia di stupire, esattamente come il suo protagonista, proponendo un linguaggio che si alterna tra slang giovanile e il la lingua standard, e risultando in questa maniera molto diretto e brillante.
Murakami è noto per il suo stile estremamente provocatorio, la sua opera ha senz’altro rappresentato un momento di “rottura” per la sua generazione, anche se qui come dicevo i toni si fanno decisamente più leggeri, fornendoci un’accurata istantanea delle dinamiche studentesche e della vita da liceale agli estremi del Giappone, durante gli anni delle contestazioni. Il tutto alla fine si tinge di un’inevitabile nota malinconica, la narrazione di una fase della propria vita come quella adolescenziale ci viene presentata con un disincanto e un tono nostalgico tipico dell’età adulta.
E voi avete letto questo romanzo? Vi ricordo che potete commentarlo su Instagram insieme a me e le altre ragazze del bookclub, utilizzando l’hashtag #LibroGiappone, potete lasciare un commento qui o anche sul mio profilo IG, dove mi trovate come @tradgiappone.