Tokyo Letteraria: Shimokitazawa e Banana Yoshimoto

C’è qualcosa negli amori mancati. Qualcosa di bello che appartiene soltanto a loro.

Moshi Moshi, Banana Yoshimoto

Una e tante Tokyo.

Tante quante le storie che animano le strade di questa città. Una città “maschile”, nata come feudo, divenuta capitale militare, per poi trasformarsi in città commerciale, che trae forza dall’animo dei suoi abitanti.

Tredici milioni, sono le persone che popolano Tokyo, città composta da tanti centri quanti sono i suoi quartieri, ognuno con un suo umore, ognuno con una sua storia.

In questo viaggio letterario nella capitale giapponese vorrei tentare di dare voce alle numerose vicende che l’hanno popolata nel corso degli anni, e anche stavolta, come nella scorsa puntata, torno a osservare la Tokyo al femminile, quella spesso dimenticata o passata in secondo piano.

Banana Yoshimoto è una delle scrittrici più prolifiche e più conosciute in Italia, grazie alle numerose traduzioni che ci sono arrivate. Nata nel 1964, figlia del famoso critico letterario e filosofo Yoshimoto Takaaki e uno dei casi editoriali più eclatante degli ultimi anni.

Banana Yoshimoto per molti ha rappresentato il primo contatto con la cultura giapponese, col mondo Giappone: un mondo variegato e frammentario, un quotidiano fatto di tante piccole cose all’apparenza insignificanti. Le difficoltà del crescere, la solitudine e la nostalgia sono i sentimenti che animano le storie di questa autrice, delle moderne fiabe metropolitane.

Grazie a Banana Yoshimoto riusciamo ad avere una visione intima della città, filtrata attraverso gli stati d’animo delle sue protagoniste. E oggi con lei ci muoviamo per le strade del quartiere dove lei stessa ha vissuto per un lungo periodo, Shimokitazawa, un luogo di cui racconta bene la sua essenza nel romanzo Moshi, moshi.


Shimokitazawa, una Tokyo “altra”

Foto tratta da Sugoii Japan

Un tempo villaggio rurale stretto tra campi di riso e boschi, e attraversato dal fiume Kitazawa, a seguito del grande terremoto del Kantō del 1923, Shimokitazawa diventa un distretto urbano, quando migliaia di sfollati si riversarono qui, in fuga dalla città devastata.

Nel 1927 apre la stazione ferroviaria della linea Odakyu Odawara, fulcro del quartiere, e da questo momento inizia la sua storia di urbanizzazione, la storia di un quartiere fatto di tantissimi negozi, attività commerciali, locali, caffetterie e particolarmente amato dai giovani, per la sua atmosfera rilassata, un villaggio a misura d’uomo.

Il quartiere è stato risparmiato dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, e questo ha permesso di mantenere intatto il dedalo di stradine strette e tortuose che rimandano all’origine rurale del quartiere, rendendo difficoltoso il passaggio delle automobili e favorendo una mobilità più lenta. Qui dove si vive uno stile rilassato, ci si muove a piedi e si perdono i confini tra spazio pubblico e privato, instillando la sensazione di essere e diventare parte di una comunità.

Nel dopoguerra, la zona ospita uno dei più importanti mercati neri della città. Questo ha dato vita all’animo commerciale del quartiere, che si riflette ancora oggi nei tantissimi negozi di abiti vintage e di seconda mano. Una mentalità imprenditoriale che ancora rappresenta il perno di Shimokitazawa.

Del suo passato più rurale e arcaico, non rimangono che poche tracce, il tempio Shinganji e il santuario di Kitazawa Hachiman rimangono gli unici segni dell’area in quel tempo, che esistono nella loro posizione originale tutt’oggi.

Shimokitazawa si trova nel quartiere Setagaya, zona a sudovest di Tokyo. Siamo fuori dai confini dell’antica Edo, eppure in questa zona si respira tanto dell’antica atmosfera della Shitamachi, con le sue caratteristiche costruzioni basse e vicoli angusti.

Un animo popolare e bohémien, amato dai giovani sin dagli anni Settanta, quando in massa iniziarono a trasferirsi qui da Shibuya e Shinjuku per via dei suoi costi più sostenibili, e per il suo stile di vita decisamente più attraente.


Shimokitazawa e Banana Yoshimoto

Banana Yoshimoto ha vissuto per molti anni a Shimokitazawa, che ha amato molto per la sua dimensione più umana, e riesce a farci respirare molto bene la sua atmosfera nel romanzo Moshi Moshi, una dichiarazione d’amore verso il quartiere.

Shimokitazawa non è un quartiere prettamente turistico (sebbene negli ultimi anni attiri sempre più visitatori), non ci sono luoghi particolari da visitare: è il quartiere stesso che va vissuto e assaporato camminando per le sue stradine, frequentando i suoi locali, respirandone l’atmosfera vintage.

Percorriamo le strade di Shimokitazawa insieme a Yoshie e sua madre.

A Shimokitazawa mia madre e io non mentivamo. Respiravamo al ritmo giusto. Se solo avessimo potuto ricominciare daccapo lì, con papà, tutti e tre insieme. Era un sogno che non si sarebbe mai realizzato.

Ritrovare se stessi. Cambiare vita, spogliarsi di tutto quello che è stato per ricominciare. E a Tokyo ricominciare può voler dire semplicemente cambiare quartiere.

Nella città è facile perdere le tracce di noi, di quello che siamo. Nel mare delle persone che la abitano noi siamo poco più che una goccia, insignificante come tutte le altre gocce. Eppure gli spazi che conosciamo, quelli che ci hanno visto crescere, diventare adulti, prendere strade impervie, sbagliare, possono tenerci stretti come in una gabbia. Quello che siamo non può corrispondere a chi eravamo, e nei luoghi troviamo le tracce di quello che vorremmo cancellare.

Moshi moshi? 

Pronto? Pronto?

Sono le parole che Yoshie sogna di poter dire ancora una volta al padre, morto suicida con la sua amante. Una morte scioccante, che ha costretto Yoshie e sua madre a rimescolare le carte, cadere in fondo per poi a fatica rialzarsi.  Muovere nuovi passi nel mondo.

Nel sogno, stavo rispondendo al telefono. Mi trovavo nella mia stanza della casa di Meguro. Chiamavo con tutte le mie forze. Con tutta me stessa. Pensavo che se fossi riuscita a mettermi in contatto con mio padre, forse sarei riuscita a salvarlo.

Yoshie decide di cambiare vita, lascia la casa di famiglia, nell’elegante quartiere di Meguro, simbolo di quello che era stata la sua vita fino a quel momento, per trasferirsi a Shimokitazawa, un luogo che per lei rappresenta “altro“, lontano anni luce da quello che era. Finché non viene raggiunta da sua madre, che lascia anche lei la vecchia casa per trasferirsi dalla figlia.

Non ho niente contro Jiyūgaoka, ma quella casa e quel quartiere mi fanno tornare in mente tuo padre. Non ce la faccio. Shimokita mi piace, voglio stare qui. Lì mi sembra di soffocare. Tutto è immobile.

Banana Yoshimoto racconta un lutto, nello stile leggero e schietto che la contraddistingue, ma è anche la storia di un viaggio di due donne, una madre e una figlia che riscoprono loro stesse, lontano da quello che erano. Ricominciare a vivere da sole, trovare un nuovo equilibrio in quanto famiglia. E Shimokitazawa rappresenta il collante, l’elemento che permette il verificarsi di questa epifania. Un quartiere lento, che permette alle due donne di rinascere per le sue strade, riscoprire la propria essenza e ritmo vitale.

Se alcune volte l’aspetto caotico di questo quartiere, costruito senza alcun criterio, al solo fine di guadagnare spazio, appare gradevole, è forse perché di fatto ricorda la parte bella dell’inconscio delle persone, la loro disordinata scompostezza.

Disordinata scompostezza è proprio quello che fa venire in mente Shimokitazawa, un disordine quasi terapeutico, in cui lasciarsi trascinare.

Sembrava che il quartiere ci stesse insegnando l’importanza di non avere fretta. Mentre ovunque, nel resto del Giappone, ci si sentiva dire solamente: “Sbrigati!”. Lì almeno, potevo prendermela calma, potevo disperarmi, intristirmi, lasciarmi andare. Gli esseri umani hanno tutti i loro punti deboli, difetti difficili da superare. E allora va bene così. In fondo, siamo tutti diversi.


I luoghi di Moshi Moshi

Moshi Moshi ha la capacità di farci respirare l’atmosfera e la vita del quartiere. Siamo lì, insieme alle protagoniste, ci muoviamo con loro per i locali, proviamo i loro ristoranti, assaggiamo i loro piatti e assaporiamo la vitalità di Shimokitazawa. Forse, cerchiamo un po’ di noi stessi, diventando parte degli ingranaggi di questa comunità.

Qui sono tantissimi i riferimenti a luoghi realmente esistenti o esistiti, come il ristorante Les Liens, dove lavora Yoshie e che per lei rappresenta un importante luogo di crescita. Il romanzo ci ricorda anche la fragilità, l’impermanenza di Tokyo, sempre pronta e demolire e ricostruire.

Da anni, infatti, è in progetto la costruzione di nuovi edifici, con il rischio concreto di perdere la genuinità di Shimokitazawa. E Banana Yoshimoto ne parla:

Pare che demoliranno tutto qui, dobbiamo chiudere entro la fine dell’anno”. […] “Che fine farà il ristorante? E io?”

Nel romanzo e nella realtà il ristorante viene chiuso, dopo che l’edificio che lo ospitava è stato abbattuto per costruire un parcheggio. E sempre a proposito di demolizioni che cambiano il volto del quartiere, qualche anno fa è stato abbattuto anche lo Shimokitazawa Old Market, dove un tempo c’era il mercato nero.

Ristorante Les Liens prima della demolizione (foto tratta da qui, dove trovate anche una recensione del ristorante)

Come dicevo a inizio del post, non ci sono dei veri e propri must see del quartiere.  Oggi quindi non vi proporrò un percorso a tappe, ma vi lascio con alcune suggestioni. Nella mappa sono segnalati alcuni dei locali citati nel romanzo di Banana Yoshimoto, che vi permetteranno di avere un assaggio del quartiere e del suo stile di vita.

Il vostro itinerario può partire dalla stazione di Shimokitazawa e da qui potete muovervi verso Chazawa dōri: si tratta della via nella quale si trovava il “Les Liens”, dove camminare lasciandovi guidare dal flusso lento delle persone, e sbirciare in negozi e locali.

Chazawa Dōri era sempre poco trafficata, e le auto procedevano a un ritmo del tutto naturale, come pedoni. Dall’altro lato della strada si vedeva il bistrot dove lavoravo, Les Liens. Vicino alla vecchia finestra del caffè Minenkosha, al secondo piano, brillava la luce soffusa di una lampada. Sotto una pioggia leggera, era come se tutto volesse fondersi nella sera.

©Masayuki Yamashita

Se poi camminando vi viene voglia di un caffè, allora dovete senza dubbio andare da Moldive Shimokitazawa (2-14-7 Kitazawa, Setagaya-ku).

È un negozio come ce n’erano una volta, tostano i chicchi di caffè davanti all’entrata e dentro li vendono. Quando si cammina in quel tratto di strada si sente il profumo del caffè tostato dalle braccia possenti del proprietario del Moldive, un profumo tanto buono da sembrare finto, e viene sempre da pensare: “Beviamo anche oggi un buon caffè e diamoci da fare!”.

Uno dei punti forti del quartiere sono senza dubbio i suoi ristoranti e locali. Sono tanti i luoghi citati direttamente e indirettamente, che ci permettono di percepire la vita del quartiere.

Poi vado in un bar che serve tè giapponese e ne bevo una tazza dopo l’altra, con calma, mangiando senbei e manjū. Oppure vado in un altro posto, dove prendo del caffè nero e un toast alla cannella pieno di crema. Altrimenti, se è un giorno in cui il ristorante thailandese serve il menù fisso per pranzo, vado a mangiare l’insalata di papaya e il riso mochi. La cucina thailandese di Miyuki è superiore a tutte le altre […] A pranzo mi piace mangiare la pizza da Rokusan. Anche la pizza di La Verde è buona. Qualche volta mi concedo il lusso di mangiare giapponese da Asuka.

Le domandai:
“Con chi sei stata a bere?”
“Con Chizuru, al bancone del suo bar, parlando dei bei tempi andati. È quel bel locale con una lucertola gigantesca attaccata al soffitto, sotto il livello della strada”.

Asuka, a Shimokitazawa, è un ristorante molto bello di cucina tradizionale giapponese, si trova a pochi passi dalla stazione, a questo indirizzo: 2-20-2 Kitazawa, Setagaya-ku.

Il locale con la lucertola appesa al soffitto è il Mother’s Ruin, pub dall’arredamento stravagante che ospita spesso musica dal vivo, uno dei locali ad ambientazione rock più vecchi del quartiere. Si trova qui: Edificio NF piano B1, 2-2-7, Kitazawa, Setagaya-ku.

Se invece avete voglia di acquisti, a pochi minuti dall’uscita sud della stazione, trovate il Village Vanguard, un negozio dall’aria vintage dove trovare libri e oggettistica varia (2-10-15 Kitazawa, Setagaya-ku). Un altro luogo che trasmette l’essenza di Shimokitazawa.

Un quartiere è così.
Sentii la vita di persone che fino a qualche anno prima non avevo mai visto, la sentii come il respiro che attraversa quelle strade. Non ero sola. Tanta gente che non conoscevo entrava e usciva, e costruiva il nostro quartiere.
Aveva ragione Fuzjiko: a prima vista, è un posto caotico, disordinato e brutto, ma osservandolo meglio si capisce che disegna un motivo meraviglioso. Uno scenario di infinita bellezza.


Bibliografia consigliata:

Banana Yoshimoto, Moshi Moshi, traduzione di Gala Maria Follaco (Feltrinelli)

The Passenger, Giappone (Iperborea)

Rossella Marangoni, Tokyo. La scrittura, la città, la notte (Edizioni Unicopli)

Daniela

Yamatologa per caso, traduttrice per passione, sognatrice di professione. Un vita in bilico tra Roma e il Giappone, e una passione per la fotografia, la cucina, i libri e i gatti.

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