Cominciavo a essere consapevole del fatto che se si aspetta sempre che sia qualcun altro a parlare, le cose non cambieranno mai. E finalmente sono riuscita a dire ciò che dovevo e a farmi ascoltare, mettendoci il nome e la faccia.
Black Box è il #librogiappone che abbiamo deciso di commentare questo mese di marzo, il “mese delle donne”, con quell’8 marzo che diventa (o dovrebbe diventare) un’occasione, e uno stimolo, per ricordare ancora una volta le questioni di genere, e quanto il problema delle molestie e della violenza sessuale non sia affatto un qualcosa di così eccezionale, come il movimento #MetToo ha ampiamente dimostrato, ma anzi è qualcosa che riguarda la vita di quasi tutte le donne.
Accostarsi alla vicenda giudiziaria di Shiori Itō, giornalista e attivista, e al suo libro, Black Box, arrivato da noi in Italia grazie all’incredibile lavoro di Inari Books, libreria ed editore indipendente, progetto nata dalle menti e dalla caparbietà di due donne, Marianna Zanetta e Asuka Ozumi, non è affatto semplice, e rende necessaria una chiara presa di posizione. Come da citazione di apertura, se si aspetta che sia sempre qualcun altro a parlare, le cose non si possono smuovere. E Itō, in Giappone, di acque ne ha smosse un bel po’.
Il suo caso, infatti, ha destato clamore in Giappone, e ha permesso di parlare forse in maniera più aperta, abbattendo qualche tabù, di stupro e violenza sessuale, in un paese estremamente maschilista, e in cui la percentuale di donne che denunciano le violenze subite è bassissima.
Shiori Itō parte dalla sua dolorosa vicenda personale, per cercare di evidenziare le mancanze e tutti i difetti di un sistema che, di fatto, rende impossibile, o quasi, alla vittima di denunciare, scoraggiata in tutti i modi possibili e immaginabili, e che anche a fronte di denunce, spesso queste si concludono con un nulla di fatto, lasciando i colpevoli impuniti.
Black Box è un libro che ti colpisce dritto in faccia: una lettura che scorre in maniera implacabile, generando sgomento e rabbia. Una scrittura analitica e lucida dei fatti che hanno riguardato in prima persona Itō, suddiviso in 8 capitoli che ripercorrono la sua vita prima e dopo il 3 aprile 2015: quello è il giorno (“Il giorno in cui mi hanno uccisa”) in cui si è ritrovata ad essere vittima, in stato di incoscienza, di uno stupro, perpetrato da un collega e superiore, Noriyuki Yamaguchi, ex direttore dell’ufficio di Washington della TBS (Tokyo Broadcasting System), e biografo dell’ex primo ministro Shinzo Abe. Un collega che conosceva, e con cui si era incontrata per discutere di lavoro.
Leggendo la sua storia, percepiamo la caparbietà e la forza di questa donna che prima ha lottato per cercare di affermarsi come giornalista, e poi, in seguito a questo evento drammatico, ha deciso di non tacere, come più volte consigliato, ma anzi ha continuato a lottare per rendere nota la sua vicenda, mettendoci il nome e la faccia, nella speranza che le cose potessero in qualche modo cambiare, e che altre donne non si trovassero a vivere la sua stessa esperienza.
Il silenzio non porta pace
La vicenda è ormai piuttosto nota: il 3 aprile 2015 Itō incontra Yamaguchi Noriyuki per discutere della sua assunzione all’ufficio di Washington e delle pratiche per un eventuale visto. Durante la cena, perde improvvisamente i sensi, e si risveglia dopo diverse ore, in una camera di albergo, mentre Yamaguchi la sta violentando.
Confusione e shock: questo è lo stato d’animo in cui si ritrova Itō, incredula di quanto accaduto. Eppure, decide qualche giorno dopo di denunciare il fatto alla polizia. E qui entra in una sorta di girone infernale, con gli agenti che cercano di farla desistere, il dover ripetere all’infinito la propria storia, spesso ad agenti uomini, e persino la simulazione dello stupro con un manichino. Nonostante tutto, le indagini vengono aperte, sono raccolte le prove (inclusi dei video dell’hotel) e la testimonianza del tassista che ha condotto Itō e Yamaguchi dal ristorante all’hotel, e si procede con un mandato di arresto, che però viene incredibilmente bloccato dai vertici della Polizia Metropolitana, proprio poco prima dell’arresto di Yamaguchi. A tutt’oggi Yamaguchi non è mai stato arrestato, né perseguito penalmente (la procura si è espressa infine con un “non luogo a procedere con l’azione penale”, rendendo di fatto tutti gli sforzi di Itō vani).
In seguito al rifiuto del Pubblico ministero di fronte alla possibilità di riaprire il caso, Itō decide di esporsi e di organizzare una conferenza stampa per denunciare quello che le era successo (era il 2017) e far sentire la propria voce. Shiori Itō sfida in questo modo i tabù della società, mettendoci nome e volto, dando così inizio al movimento #MeToo anche in Giappone.
Non è (soltanto) la sua storia: è un intero sistema quello che Shiori Itō denuncia, svelando i retroscena di una società in cui le donne vittime di violenza sono umiliate e violentate per due volte, prive dei mezzi per difendersi. Una società profondamente patriarcale e maschilista quella giapponese, che fatica a riconoscere una reale parità di genere, e che si manifesta anche in leggi sulla violenza sessuale decisamente inadeguate.
Black Box è un memoir, ma anche un atto di denuncia, che affronta una delle esperienze più dolorose e traumatiche che una persona possa vivere: lo stupro. Pubblicato in Giappone nel 2017, nello stesso anno in cui le accuse a Harvey Weinstein e altri hanno dato vita al movimento #MeToo su scala mondiale, e che ha portato milioni di donne del mondo a raccontare e denunciare le molestie e le violenze subite), il libro è stato vincitore nel 2018 del premio Best Journalism Award del Free Press Association of Japan.
Shiori Itō è diventata così portavoce e volto del movimento #MeToo in Giappone, contribuendo a far nascere un dibattito sulle violenze sessuali, e il suo coraggio nel denunciare quanto accaduto ha ispirato molte altre donne a farsi avanti, rompendo il silenzio imposto dalle pressioni sociali.
È un libro duro da leggere, che genera rabbia, ma permette anche di riflettere su un sistema sociale e giudiziario che tende a proteggere chi ha più potere, e non a portare giustizia alle vittime. Shiori Itō, pur fotografando attentamente la situazione in Giappone, ci ricorda comunque che quello delle violenze sessuali è un problema che riguarda tutto il mondo, fornendoci un ulteriore spunto per parlarne e riflettere.
Breve rassegna stampa dedicata a Shiori Itō, per chi vuole saperne di più:
Storia di Shiori Ito, prima donna che ha osato denunciare per violenza sessuale un uomo famoso in Giappone, intervista apparsa su Elle
Ho incontrato Shiori Ito, intervista di Flavio Parisi (Il Post)
La storia di Shiori Ito, simbolo del MeToo giapponese, è la storia di una giornalista ferita, di Elisabetta Moro (Elle)
Se hai letto Black Box di Shiori Itō, ti ricordo che puoi commentarlo su Instagram insieme a me e alle altre ragazze del bookclub per tutta la settimana, utilizzando l’hashtag #LibroGiappone. Seguici su Instagram @librogiappone
#LibroGiappone Live:
Domani 1 aprile alle ore 21.00 commenteremo Black Box live su Zoom, insieme a Marianna Zanetta e Asuka Ozumi, di Inari Books. Se vuoi partecipare (non è necessario avere letto il libro) ISCRIVITI QUI!