Heaven, romanzo di Mieko Kawakami pubblicato lo scorso agosto dalla casa editrice E/O, nella traduzione di Gianluca Coci, è il #librogiappone che abbiamo scelto questo mese.
Dopo il successo di Seni e Uova (che abbiamo avuto modo di commentare a inizio anno) Mieko Kawakami torna con un romanzo intenso, di grande impatto che narra la storia di una coppia di amici vittima di bullismo, sullo sfondo del Giappone negli anni Novanta. Kawakami, nel suo stile caratterizzato da una profonda analisi psicologica, racconta uno dei fenomeni giapponesi più preoccupanti degli ultimi anni.
「出る釘は打たれる」
Deru kugi wa utareru
Il chiodo che sporge va battuto
Si tratta di un proverbio giapponese che inquadra perfettamente il tema del bullismo in Giappone (ijime 虐め), che rappresenta appunto la colonna portante del romanzo di Kawakami.
Il bullismo nelle scuole è un tema che riguarda moltissimi paesi al mondo (inclusa l’Italia), e che negli ultimi anni, con la diffusione capillare dei social network, è degenerato, portando in numerosi casi a fenomeni di cyberbullismo. In Giappone soprattutto costituisce un vero e proprio allarme sociale, con casi in aumento di anno in anno (e, anche se non necessariamente connesso, va ricordato inoltre che il suicidio rappresenta la principale causa di morte tra i più giovani) e misure atte a contrastare il fenomeno non sempre all’altezza.
Heaven, un romanzo sul bullismo (ma non solo)
Ijime viene dal verbo ijimeru, che significa letteralmente tormentare, e identifica un bullismo di tipo ostracizzante, che mira alla cancellazione sociale di un individuo. È il gruppo che si accanisce contro una singola vittima prescelta, in un meccanismo terribile di messa in atto sistematica di ingiurie, ricatti, violenze, aggressioni. Il tutto avvolto nel silenzio/omertà del resto della classe, e spesso anche degli stessi insegnanti, impreparati a prendere provvedimenti.
È questo di cui è vittima il protagonista della storia (di cui non ci viene rivelato il nome, ma che conosciamo solo tramite l’ignobile soprannome attribuitogli dai compagni, Occhi Storti), studente delle scuole medie, oggetto di scherno e di brutali violenze a causa del suo strabismo, compiute da un gruppo di bulli capeggiato da Ninomiya.
Quello che probabilmente colpisce di più del romanzo è l’incredibile crudezza delle scene di violenza: nulla viene lasciato all’immaginazione, e i dettagli di ogni singolo atto di crudeltà perpetrato ai danni del protagonista, non può che generare sgomento, rabbia, un profondo senso di ingiustizia. Non è da questo punto di vista una lettura facile, eppure le scene di bullismo sono a mio parere un invito, a non voltarsi dall’altra parte, ma prendere atto della crudeltà, e agire per porvi rimedio.
Eppure, anche la violenza, nonostante la crudeltà che ci viene messa davanti gli occhi, riesce a essere raccontata in maniera direi trasparente, schietta, permettendoci di entrare in empatia col protagonista.
L’introspezione è senza dubbio la cifra stilistica di Mieko Kawakami, che qui riesce in maniera incisiva a farci percepire le emozioni e le riflessioni del protagonista, e nella sua prosa riesce a intercettare tutte le intense sfumature delle emozioni dei suoi personaggi, sviluppando un intreccio narrativo che funziona, pur nell’estremizzazione del bene e del male della realtà scolastica giapponese.
Bene che qui è rappresentato da quei momenti di pace e di sincera felicità che nascono dall’amicizia sbocciata da uno scambio epistolare con Kojima, una compagna di classe anche lei vittima delle angherie delle altre compagne di classe a causa della sua trasandatezza. Il forte legame di complicità tra i due protagonisti rappresenta il loro porto sicuro, il loro paradiso, in cui potersi rifugiare per raccontarsi in tutta onestà.
Siamo pienamente consapevoli di essere deboli, dobbiamo solo accettarlo e capire che non è solo un male, dobbiamo concentrarci sui nostri lati positivi, sulla nostra sensibilità. Noi sappiamo ciò che conta e ciò che insignificante e privo di valore, riusciamo a distinguere le cose belle da quelle brutte, il bene dal male. Non siamo come loro, non siamo come quelli che restano a guardare facendo finta di niente e disprezzandoci in silenzio…
Le loro lunghe conversazioni sono l’occasione per interrogarsi sui motivi delle violenze subite, ed è qui che si delinea chiara una demarcazione: noi e loro, il bene e il male, e una serie di riflessioni che, forse, costituiscono la parte “debole” del romanzo.
Se quindi da un lato, i discorsi con Kojima fanno leva sulla forza della debolezza e su cosa distingue loro dagli altri, in un’ottica ideale per cui l’accettazione e la perseveranza vincono sulla violenza, una violenza giustificata nella paura nell’altro, nel diverso, in ciò che non riusciamo a incasellare in un determinato riquadro (il famoso chiodo che sporge) che ci porta a reagire con rabbia, dall’altro nel lungo dialogo con il cinico Momose, uno dei bulli della cricca di Nonomiya, ci viene semplicemente svelata l’insensatezza del male, e come tutto sia riconducibile al semplice caso, senza alcuna reale motivazione che spinga ad agire con violenza verso l’altro.
Sì, sono d’accordo, sono cose insensate, hai ragione. Ma te le fanno proprio per questo, perché non hanno alcun senso e quindi sono ancora più divertenti. Vorresti essere lasciato in pace, va bene, ma non è facile. Hai tutto il diritto di chiederlo e pretenderlo, ma anche gli altri hanno il diritto di reagire come vogliono. Siamo liberi in questo mondo, e in ogni caso tu e gli altri siete su posizioni diametralmente opposte.
Grandi assenti della narrazione sono gli adulti: genitori, insegnanti, sembrano completamente avulsi dalle dinamiche innestate, e i protagonisti della storia continuano a lottare soli contro gli abusi dei compagni, fino alla svolta finale, a suo modo consolatoria.
Come in Seni e uova, anche qui c’è una riflessione che parte dall’accettazione del proprio corpo e di quanto come appariamo definisce ciò che siamo. Heaven è un romanzo che offre uno spaccato sul bullismo nelle scuole, fornendo diversi spunti di riflessione che però, a mio parere, non sempre riescono a centrare il punto.
Se infatti devo dire di aver apprezzato l’attenzione e lo sviluppo del lato emotivo e psicologico del protagonista, il personaggio sicuramente meglio caratterizzato, molto meno ho apprezzato le “speculazioni filosofiche” su bene e male, rappresentate dai due coprotagonisti Kojima e Momose, che a mio parere perdono di tridimensionalità, limitandosi ad agire come semplici marionette nelle mani dell’autrice, privati di una caratterizzazione più profonda.
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